domenica 20 dicembre 2015

“Il teorema dello scaffale” un libro fotografico non-pubblicitario

Un libro fotografico di professionisti della pubblicità che mostra un back-stage di alcuni prodotti presenti nelle nostre case in maniera etica e minimalista.

Cosa succede quando due fotografi pubblicitari e un copy-writer sono circondati quotidianamente da decine di prodotti, articoli da fotografare per lavoro, renderli belli, più glamour di quello che sono e dove la luce è il loro principale pallino per restituire riflessi e texture con quei colori che devono sedurre i consumatori finali attraverso brochure, manifesti, annunci stampa e quant’altro?

Assuefazione? Rigetto? Repulsione? Noia? Forse tutto ciò o forse nulla di tutto questo, ma può scattare sicuramente qualche meccanismo insolito che può portare a vedere gli oggetti di uso e consumo in maniera diversa da come devono essere mostrati normalmente nell’advertising.

© Pierluigi De Simone e Francesco Rotili
Cara pubblicità eccoti il bianconero nudo e ironico. Un po’ sarcastico, forse: “Il teorema dello scafale”, un libro edito nel 2009 per l’editrice Tilapia e realizzato dai fotografi Pierluigi De Simone, Francesco Rotili e dall’ex copywriter Vittorio Liberti attualmente insegnante di italiano.

In copertina un’immagine di un non-logo, una “o” di un improbabile font con bordo argentato che racchiude l’immagine di un dettaglio di ventose di un polpo. Il tentacolo centrale attraversa con una diagonale convessa la strana “o” dividendola simmetricamente in due parti.

Una copertina elegante, con fondo nero satinato. Come un voler propinare un prodotto di lusso ma che non è tale. Un voler fare un “pacco” come si dice a Napoli, un bidone, una cantonata, presentando un viscido mollusco come se fosse un gioiello.

I soggetti ripresi in questo libro e che entrano quotidianamente nelle nostre case vengono visivamente sezionati con punti di vista che vanno al di là dell’osservazione fotografica. In senso tecnico, intendo. Subentrano, in queste immagini, processi di riflessione analitici, etici, andando oltre le apparenze e rivelando osservazioni ambientaliste, animaliste, filosofiche grazie ai contributi didascalici (250 battute per foto) di Vittorio Liberti.

In fondo è questo il lavoro del fotografo, porsi domande, darsi risposte, perlomeno cercarle.
Sulle confezioni delle uova vi è un codice. Il 3 indica un allevamento di 25 galline che vivono in uno spazio di un metro quadro. Venti centimetri quadri per ogni gallina. Uno zampirone affoga il senso dei sensi. La natura la ingeriamo senza che ne osserviamo le sue divine ed affascinanti strutture geometriche, reticolari che la rendono di estrema bellezza e qui fotografata per darcene conto.
Ventinove immagini per riflettere su un mondo minimalista. Un mondo che inosserviamo ma che sta intorno a noi.

“Il teorema dello scaffale” è un libro da sistemare per teorema sullo scaffale accanto a un volume di Andy Warhol. Perché classificabile come Pop-Art.
Se Andy Warhol soggiogava il mondo del consumismo estremizzandolo con la riproduzione maniacale del prodotto o saturava la notizia di un incidente stradale ripetendo più volte il frame in un’opera, Pierluigi De Simone, Francesco Rotili e Vittorio Liberti, con questo libro esprimono in maniera analitica e poetica un back-stage pubblicitario che non è un voler andare contro senso, un voler essere a tutti i costi voce fuori del coro del mondo pubblicitario, ma uno stimolo per aumentare la consapevolezza delle nostre abitudini di vita, per auspicare un mondo migliore.


Il teorema dello scaffale; Pierluigi De Simone, Francesco Rotili, Vittorio Liberti; ed. Tilapia - 2009

giovedì 3 dicembre 2015

Il Rione Sanità, Oro di Napoli raccontato in fotografia

Si è inaugurata la mostra fotografica “Il Rione Sanità" alla Salumeria Upnea. Contaminazioni sociali per una fotografia a misura d’uomo.

"Maternità" da Upnea per mostra "Rione Sanità" © MGC
Lo spazio espositivo di una mostra quanto materiale da osservare può contenere? Quanti autori possono essere presenti in relazione alla quadratura?
Forse non esiste regola o probabilmente è la Salumeria Upnea che ha avuto il coraggio di stravolgere la relazione che può esserci tra contenuto e contenitore riempiendo in fitti patch-work le pareti del suo ambiente, saturandolo di immagini che raccontano dall’esterno all’interno più intimo parte del Rione Sanità.

L’inaugurazione è stata un momento di fotografia intelligente, fotografia “utile”, come la definiamo noi di Photo Polis, fotografia a misura d’uomo.
Tra il pubblico c’erano persone ordinate, con mazzi di fiori in mano come se fossero andate alla prima di un balletto a teatro, si distinguevano per il loro entusiasmo nell’osservare le immagini, cercandole, trovandole, sorridendo. Non si risparmiavano i selfie fatti davanti ad esse. Ho visto la felicità negli occhi di quelle persone, erano gli abitanti del Rione Sanità, orgogliosi di essere al centro dell’attenzione, contenti di avere anche loro i “15 minuti” warholiani.

Sinergie, condivisione, contaminazioni, socialità, scambio. Se la fotografia serve a creare tutto ciò svolge buona parte della sua missione. Della sua utilità.
È un modo di vivere un quartiere fuori del quartiere stesso. Un modo per avvicinare realtà sociali ad altre. Inorgoglire parti di popolo che ritrovano una loro identità, un loro senso di appartenenza al territorio e condividerlo con chi è fuori quelle realtà. Attraverso le immagini.
È fare cultura. È conoscenza. È la consapevolezza che Napoli vive sotto lo stesso respiro e non esistono confini.

Il centro storico prima degli anni ’90 era snobbato dai residenti di altri quartieri, poi è diventato quello che è, una delle principali attrazioni culturali della città. Sul Rione Sanità varie associazioni stanno lavorando da anni sul territorio e vi arriva ora anche il turismo internazionale. Tutto con grande fatica perché le istituzioni non sono sempre presenti.
La fotografia, un certo tipo di fotografia, aiuta a valorizzare il territorio, a farlo vivere, a creare fusione tra abitanti dei vari quartieri. La condivisione accelera i processi di civiltà. La fotografia può.

La gente del Rione Sanità per una notte è stata l’ombelico del mondo. Un passo avanti, un mattone per aiutarsi a vicenda a ricostruire quel senso civico di una Napoli che stiamo dimenticando. Quella eduardiana, per intenderci; fatta di solidarietà, di buon umore, di quella filosofia di vita che ci ha caratterizzato negli anni addietro e Sergio Siano, Roberto Stella e Luigi Crispino, promotori del corso di fotografia conclusasi con la mostra degli allievi, hanno dato un loro contributo attivo a tutto ciò.


In esposizione immagini di:

Angelo Moraca, Claudio De Falco, Fiammetta Tarallo, Sofia Quarantelli, MariaGiovanna Capone, Emanuela Cervo, Lorella Tripodi, Massimo Caroelli, Annalisa Guida, Ada Santasilia, Federica Lamagra, Irene Angelino.

Presso:

Salumeria Upnea
Via San Giovanni Maggiore Pignatelli, 48 . Napoli

Info:

Info: 081. 19364649 | 3477905900

Fino al 6 dicembre


venerdì 31 luglio 2015

Il panorama di Napoli più lungo del mondo

Il 20 luglio, dopo una lavorazione durata oltre dieci anni, è ufficialmente terminata l’edizione “Expo!” del panorama di Napoli più lungo del mondo: Metamorfosi Reloaded 2015.


L’immagine sarà stampata in copia unica con una lunghezza di 815cm e sarà esposta nel prossimo autunno-inverno insieme ad altre 10 immagini dell’Impossible Naples Project di Marco Maraviglia. Metamorfosi Reloaded è il panorama di Napoli più lungo del mondo, surreale, inesistente fisicamente. Iniziato circa 10 anni fa, ne fu interrotta la lavorazione per motivi tecnici. Nel 2007 fu utilizzata la sua prima versione per realizzare un calendario da tavolo messo online e attualmente ancora scaricabile.

Metamorfosi Reloaded 2015 edizione "Expo!"
La versione successiva è stata presentata in anteprima l’8 maggio di quest’anno, stampata in bozza da 6 metri di lunghezza e circa 30cm di altezza e il pubblico, composto da fotografi, artisti, grafici, amanti di Napoli… aveva la facoltà di intervenire scrivendoci sopra suggerimenti e correzioni da apportare. Un momento unico nel suo genere di arte partecipata: l’opera condivisa affinché i suggerimenti del pubblico diventino parte attiva della stessa nella sua versione definitiva.

Metamorfosi fa parte dell’Impossible Naples Project, un lavoro più esteso su Napoli iniziato nel 2000, da quando l'autore ha cominciato ad utilizzare il Photoshop. Impossible Naples Project consiste in una serie di immagini di Napoli, surreali, metafisiche, a volte di ispirazione escheriana che inducono l’osservatore a GIOCARE con esse: cercare di individuare i luoghi, i dettagli di Napoli, assemblati in questi fotomontaggi, stimolando una percezione sulla città in maniera più approfondita.

L’autore sta organizzando una mostra-happening dove all’inaugurazione il pubblico avrà a disposizione una scheda con le anteprime delle immagini esposte e dovrà scrivere sotto ognuna di esse quali sono i luoghi e i dettagli e i punti di vista, da dove sono state scattate le foto dei particolari di ogni immagine.

Le persone che raggiungeranno il maggior numero di risposte esatte avranno in regalo una stampa firmata e con certificato di autenticità della collezione dell’Impossible Naples. Sarà inoltre esposta la versione definitiva di Metamorfosi Reloaded 2015 edizione "Expo!" di oltre 8metri di lunghezza.

Grazie a "Gli Amici di Metamorfosi Reloaded", Impossible Naples Project potrà diventare una divertente mostra-happening con premi e omaggi per i sostenitori. Tutti possono contribuire come sponsor, partner, con una donazione, acquistando un'opera dell'Impossible Naples Project o una copia delle trenta di Metamorfosi Reloaded 2015edizione "Expo!" in versione ridotta (265x10cm).

info: marco@photopolisnapoli.org
Video di presentazione: https://player.vimeo.com/video/132701610

mercoledì 1 luglio 2015

#fotoinvasioni Diritto di panorama: mobilitazione totale!!!

Appello a tutti i possessori di fotocamere e smartphone, ai webmaster, giornalisti, editori, viaggiatori, storici dell’arte e artisti, architetti, docenti, appassionati di turismo e Beni Culturali…

Il 9 luglio il Parlamento europeo
#photoinvasion Installazione di Kapoor in
Piazza Plebiscito (Napoli); 2000
discuterà un testo di indirizzo sulla revisione del copyright: per foto di opere d’arte o d’architettura servirà l’autorizzazione degli autori.


RIEDIT 12 luglio:
Allarme rientrato!!!


Di fatto, se sarà approvato questo disegno di legge, non sarà consentito più nemmeno postare foto su Facebook che riprendono edifici di architetti o opere di artisti a meno che non siano morti oltre 70 anni fa.
Perché nel testo di legge si prevede il divieto dell’uso commerciale di tali immagini e Facebook nel proprio regolamento precisa che può utilizzare qualsiasi immagine degli utenti per creare i propri annunci pubblicitari (punto 9.1 dei termini del servizio).

Senza preventiva autorizzazione dell’autore non sarà possibile ad esempio pubblicare su cartaceo e online una vista dell’auditorio di Oscar Niemeyer sito a Ravello (SA) o l’esterno del Centre Pompidou di Parigi o, ancora, le opere di Renato Barisani, Sargenti e di tanti altri artisti in prossimità delle stazioni della metropolitana di Napoli.
Insomma, scattare foto per vedersele sì, ma pubblicarle per fini commerciali, no.

I webmaster saranno costretti a rimuovere le immagini dai propri siti relative ai panorami delle città europee che ritraggono architetture ed opere d’arte.

Tutto ciò danneggiando l’economia di:
  • comparto turistico (la diffusione delle immagini di viaggio incentiva i flussi turistici);
  • fotografico (i fotografi avrebbero non poche difficoltà a vendere le proprie foto senza autorizzazione dell’artista alla mano);
  • giornalistico (cartaceo e digitale),
  • editoriale (si vedranno libri sempre più scarni di immagini);
  • culturale (quanti libri scolastici di storia e geografia non avrebbero più immagini pertinenti inficiando sulla conoscenza degli studenti).


Mobilitiamoci!!!

L’Associazione Culturale Photo Polis, perseguendo l’Art.4 del proprio statuto (…omissis… per la cultura della comunicazione, per la “civiltà delle immagini, … omissis) invita entro il 9 luglio:
  • il Parlamento Europeo a rivedere il disegno di legge in questione e nello specifico il punto 46;
  • i cittadini europei tutti a manifestare il proprio dissenso semplicemente postando sulle pagine e sui profili Facebook, di tutti i rappresentanti delle istituzioni politiche nazionali e del Parlamento Europeo, foto di città ritraenti architetture ed opere d’arte con hashtag #photoinvasion e/o #fotoinvasioni #SaveFoP.
  • a firmare la petizione
  • invita inoltre a divulgare le immagini di cui sopra anche su altri social network (Twitter, Google +, Instagram…).
Firma la petizione su Change.org
Fonte notizia
Cosa potrebbe accadere secondo Michele Smargiassi
Approfondimento del disegno di legge





venerdì 26 giugno 2015

700Km di sorrisi in bici per i disabili

Napoli-Bologna in bicicletta per realizzare parchi-giochi per bambini disabili.
Quando una story-telling serve a concretizzare un’idea socialmente utile.



Abbiamo avuto la notizia che un nostro socio, Livio Caldore (informatico di professione e ciclista per passione) intende percorrere Napoli-Bologna in bici e in solitaria, per un progetto di raccolta fondi destinati alla realizzazione di parchi giochi “inclusivi” (ossia dotati di giochi utilizzabili anche da bambini portatori di varie forme di disabilità) nelle città di Napoli e Bologna.

In effetti si tratta di un progetto che riprende l’iniziativa “700Km di sorrisi”, un’idea di Annamaria Cecaro, madre di due bambini autistici, che ha percorso il tratto Bologna-Napoli tra il 15 e il 22 giugno per sensibilizzare sulla mancanza di spazi e giochi pubblici specifici per bambini portatori di disabilità.

700Km di sorrisi è un’operazione di crowdfunding (raccolta fondi, per intenderci) che ha avuto il patrocinio del Comune di Bologna (diffondendo la notizia sui propri canali) anche se è a Napoli che esiste già una delibera per l’adeguamento dei giochi nei parchi. La raccolta fondi per Annamaria Cecaro continua ma Livio Caldore sta per iniziare.

Di 700Km di sorrisi ci sarà quindi una versione reloaded, la “passeggiata di ritorno” di Livio che percorrerà le strade da Napoli a Bologna in cinque giorni, dal 7 (partenza nella mattinata da Piazza Plebiscito, dove Annamaria passerà il testimone) all’11 luglio (arrivo nel pomeriggio a Piazza Grande; prevista la presenza di Annamaria e del Sindaco di Bologna). Per rilanciare l’iniziativa di Annamaria, per una colletta fino all’ultimo euro. Si tratta di raggiungere la cifra di almeno 5.000,00 euro!

La solitaria in bici di Livio Caldore sarà caratterizzata da una costante documentazione fotografica e video che verrà postata sui social network. La sua bici è dotata di Action Camera, fotocamera ed altre tecnologie che lo terranno costantemente connesso alla rete, tra cui un tracker GPS che mostrerà su Internet la sua posizione in tempo reale. Ogni consiglio che qualcuno vorrà dargli per rendere più visibile l’impresa, per sensibilizzare al meglio le persone che incontrerà durante la sua pedalata è dovuto affinché nessun bambino sia escluso in un parco di Bologna e di Napoli.

“Ovviamente stenderò un diario del viaggio, corredato da molte
foto e video. Mi piacerebbe ricevere idee e suggerimenti, oltre soprattutto al vostro coinvolgimento per la diffusione quanto più ampia possibile del progetto. Abbiamo bisogno di fondi, dal singolo euro dato "brevi manu" (ma certificato da foto e dichiarazione pubblica), ad un più interessante bonifico, fino alla presenza di uno o più sponsor che potrebbero fare del bene, ricevendo un po' di visibilità”.
- Livio Caldore -

Per sostenere 700 Km di sorrisi basta collegarsi al sito.

Per sostenere l’impresa di Livio Caldore anche con 1,00 euro fermandolo per le strade tra Napoli e Bologna, basta mettersi in contatto con lui:

Twitter: @LivioCaldore
E-Mail: 700km@ruotelibere.orgSito web: 700Km ruote libere

mercoledì 24 giugno 2015

NAPOLI IN PANORAMICA

Napoli offre punti di vista eccezionali per poterla fotografare in tutta la sua estensione.
Ecco alcune foto di panoramiche mozzafiato.



La fotografia panoramica analogica

Nell’era della fotografia analogica, per realizzare una foto panoramica che coprisse almeno 180° del campo visivo, il procedimento era tutto manuale e complesso.
Panoramica dal Molo San Vincenzo © Marco Maraviglia
Occorreva pazienza, precisione, esperienza oltre che treppiede con livella a bolla e fotocamera.
In camera oscura si doveva stare attenti a raggiungere la stessa gradazione di contrasto per ogni foglio emulsionato, l’esposizione sotto l’ingranditore doveva essere identica per ogni fotogramma, l’agitazione delle vasche che contenevano lo sviluppo a base di metolo ed idrochinone doveva essere identica. Per ogni stampa da eseguire.
Altrimenti, avvicinando poi le foto tra di loro (una volta asciugate) per comporre l’unica panoramica, le giunzioni potevano mostrare toni di grigio o di colore che non coincidevano tra una foto e la successiva.
Tutte le stampe ottenute si montavano poi l’una accanto all’altra con dello scotch o con del biadesivo su un supporto e si fissava l’intero montaggio su una parete per poi realizzare un unico scatto fotografico: la panoramica finale in un unico fotogramma.


Foto panoramiche con il digitale

Panoramica dalla Torre del Palasciano © Marco Maraviglia
Oggi con la fotografia digitale le cose sono cambiate. Chiunque, anche con uno smartphone, può realizzare una panoramica. Non esiste più il problema della corrispondenza di colore tra uno scatto e l’altro perché i dispositivi consentono di fondere automaticamente le singole foto per rendere una panoramica. Che sia l’app di uno smartphone o la funzione photomerge del Photoshop o altra applicazione.
E non c’è nemmeno più bisogno di un treppiede o della livella a bolla: in postproduzione possiamo riallineare l’orizzonte e fare le dovute correzioni prospettiche.


Punti di vista

Panoramica da San Martino © Massimo Vicinanza
Napoli offre diversi punti di vista per realizzare panoramiche da mozzare il fiato.
Dal molo San Vincenzo (non sempre accessibile) è possibile fare una ripresa dal lato mare riprendendo tutta la collina di Posillipo fino al Vesuvio coprendo anche 360°.
Dalla Torre del Palasciano a Capodimonte è invece possibile coprire tutto il campo che va dal Vesuvio, riprendendo il Palazzo Fuga (l’ex Albergo dei Poveri), alla collina del Vomero con il Castel S. Elmo.
Panoramica dall'Eremo dei Camaldoli © Fabio Alemagna
(dettagli licenza per l'uso di questa foto)
Dalla stessa collina di San Martino è possibile abbracciare l’intero Golfo con la collinetta di Pizzofalcone bella in vista.
Suggestivo è il punto di vista dall’Eremo dei Camaldoli che abbraccia il paesaggio dal Vesuvio fino all’intera zona flegrea comprendendo Nisida e le isole di Capri, Ischia e Procida.


Il panorama di Napoli più lungo del mondo

E poi c’è un altro panorama che sto qui a proporvi. Surreale, metafisico, di ispirazione escheriana, inesistente, falso, sorprendentemente bugiardo. È Metamorfosi Reloaded, che è il panorama di Napoli più lungo del mondo proprio perché ricreato completamente in postproduzione con diverse immagini di archivio su Napoli. Un fotomontaggio digitale la cui stampa finale misura oltre 8m di lunghezza e circa 30cm di altezza.

Metamorfosi Reloaded, il panorama di Napoli più lungo del mondo © Marco Maraviglia

LEGGI ANCHE: la più grande fotografia del mondo?

domenica 21 giugno 2015

Un ricordo per Settimio Garritano

A quasi un anno dalla mostra fotografica People di Settimio Garritano, organizzata da Photo Polis al Palazzo Civico delle Arti di Agropoli (SA), pubblichiamo il testo della presentazione del catalogo della mostra, scritto da Massimo Vicinanza.


“Ecco… ecco, ora la luce è quella giusta”… uno sguardo rapido alla scena, tempo, diaframma e click!

Uno scorcio della mostra fotografica di Settimio Garritano al
Palazzo Civico delle Arti di Agropoli (SA)
(1 agosto 2014-15 settembre 2014)
Settimio, tutti lo conoscevano con il suo nome di battesimo, scattava sempre col cuore e con la luce. Nella sua mente c’era poco spazio per megapixel e programmi di post produzione. Non certo per mancanza di curiosità verso le nuove tecnologie quanto, piuttosto, per il rifiuto di dover modificare il suo rapporto con la vita. Infatti, sebbene negli ultimi anni avesse ceduto anche lui al digitale, l’informatica e affini erano argomenti che lo rendevano incredibilmente nervoso.

Di vecchia scuola “analogica”, Settimio raccontava storie di ogni genere scrivendole con la macchina fotografica; ma soprattutto riusciva con abilità a svelare l’animo più intimo delle persone. Lo faceva con quella leggerezza che appartiene solo a chi è consapevole delle proprie capacità ed è padrone del mezzo.

Doti come l’indole e il carattere, e anche la tecnica acquisita con l’esperienza, sono stati di sicuro elementi essenziali per la sua carriera professionale, però il suo asso nella manica era l’intuito, alimentato da una sconfinata curiosità per il mondo e arricchito dall’abilità di cogliere l’istante unico con la luce adeguata.

Le sue fotografie rientrano fra quelle dei grandi autori, che si riconoscono e che restano impresse nella memoria anche se osservate per pochi secondi, così, di sfuggita. A volte capitava che fossero sgranate, sfocate, mosse e molto spesso soggette alla limitata capacità di registrazione che differenzia la vecchia pellicola dai moderni supporti digitali. Ma erano sempre fotografie e non illustrazioni.

Quelli di Settimio sono gli scatti che ogni fotografo vorrebbe fare: foto “giuste”, come amava dire, perché giusta deve essere la luce che illumina l’attimo che non si ripeterà più.

Ci ha legato un’amicizia di lunga data e negli ultimi anni siamo stati molto vicini anche professionalmente. Non si arrabbierà se dico che da buon “artigiano” era diffidente e non rivelava mai a nessuno i “segreti” del mestiere. D’altra parte la sua generosità nei rapporti umani era dirompente, sempre sincera e senza altri fini.

Da Settimio ho imparato molto, non tanto di tecnica fotografica ma del modo di porsi rispetto agli eventi e alla gente. Il nostro è stato un rapporto di reciproco scambio e ci siamo spesso aiutati a vicenda, però oggi, a giochi fatti, gli sono irrimediabilmente rimasto in debito.


© Massimo Vicinanza

Catalogo della mostra ancora disponibile qui.

lunedì 18 maggio 2015

Il selfie sta ammazzando la fotografia?

Quali sono le condizioni che fanno rischiare la morte della fotografia?
Cosa intendiamo per morte della fotografia?

Estratto dell’incontro tenuto il 15 maggio 2015 in occasione del progetto “Fotografa la vita” (per)corso di fotografia sociale organizzato da La Città della Gioia Onlus.


Una volta si diceva autoscatto, o anche autoritratto

© Debora Barnaba
fotografa di autoritratti ed autoscatti
Il selfie è una pratica un po' narcisistica antica esistente dai tempi dell’invenzione dello specchio o anche da prima, quando ci si specchiava in un pozzo o in un lago. Ci si specchiava e la mente memorizzava, registrava il ritratto di sé stessi. La pellicola emulsionata consisteva in una manciata di neuroni che fissavano l’immagine nel nostro hard-disk biologico.
Nella pittura sono tanti i selfie. Da Leonardo da Vinci a Van Gogh, da Caravaggio a Frida Kahlo, da Picasso a Guttuso e via di seguito.

Risale al 1917 il primo autoritratto allo specchio, era di William Davis. Dato l’ingombro, le fotocamere all’epoca non potevano essere sostenute da una sola mano rivolgendo l’obiettivo verso sé stessi.

Poi col dispositivo dell’autoscatto tutto divenne più facile. Si inquadrava la scena tenendo poggiata la fotocamera sul treppiedi o anche su un mobile e via, più veloci della luce, ci si andava a sistemare nel campo inquadrato, a volte con amici e parenti per immortalare il momento storico della propria vita. Favolosi quegli anni ’60 in cui i selfie di Natale ostentavano un nascente benessere italiano dove non mancavano il panettone e la bottiglia del liquore alla moda sulla tavola circondata dall’intera famiglia.


Lo scatto flessibile

Le industrie hanno sempre cercato di soddisfare le esigenze dei consumatori e infatti furono realizzati gli scatti flessibili da avvitare sugli otturatori o sui pulsanti di scatto delle fotocamere. Qualcuno si costruì artigianalmente questi cavetti meccanici più lunghi di quelli che c’erano in commercio per poter meglio gestire gli autoritratti, per ottenere la possibilità di effettuare lo scatto nel momento esatto in cui si decide di realizzarlo anche a distanza di qualche metro.

Walter Bonatti, grande esploratore e fotogiornalista italiano corredava i propri articoli con immagini realizzate grazie a questo accessorio.
E poi Helmut Newton, grande fotografo di moda degli anni ’80 e ’90 di cui lessi su un vecchio numero di Progresso Fotografico che lasciava addirittura in mano alle sue modelle il pulsante dello scatto flessibile: uno specchio posto accanto alla fotocamera, la modella quando si sentiva al meglio nella sua impostazione corporea, click, scattava. Era la "macchina di Newton", una sperimentazione unica nel suo genere per quei tempi.

Insomma, selfie, autoscatti, autoritratti, scatti flessibili, specchi e laghetti non hanno mai inficiato sulla qualità della fotografia o sull’inquinamento ambientale visivo, anzi, a volte il selfie sembra che sia quasi un modo per valutare il livello di spontaneità e simpatia, il narcisismo ironico o la predisposizione alla socialità di una persona. Personaggi celebri compresi.

È qualcos’altro che compromette la buona produzione e fruizione della fotografia. Cercherò di individuarne qualcuno…


Fotografia ridondante

Sovrabbondanza di immagini che si riciclano nella sovrapproduzione di foto simili alle precedenti, le une e le altre non congelano le informazioni, non le mostrano, nascono assuefatte rendendosi immagini inutili perché non vengono facilmente ricordate in quanto l’una vale l’altra e le abbiamo sempre sott’occhio, sappiamo che stanno lì e quindi non vengono osservate con attenzione. Passano inosservate.

“Le foto che ci inondano sono recepite
come volantini spregevoli”
~ Vilém Flusser.

La sovrabbondanza di immagini si è generata col passaggio dall’analogico (fotografia su pellicola) alla fotografia digitale. Col risparmio dei costi di pellicole e relativi sviluppo e stampa dei fotogrammi.


Qualità della fotografia oggi

Decisamente, a fronte di una sovrabbondanza di produzione di immagini fotografiche generate dal boom del digitale, bisogna dire che non raramente i fotoamatori superano di gran lunga i fotografi professionisti che sono cresciuti con la pellicola.

Il controllo immediato dello scatto sul display, la postproduzione accessibile ormai a tutti e fruibile senza che ci sia necessariamente un "maestro" perché il web è una miniera di consigli sotto forma di tutorial, ha innalzato la qualità innanzitutto tecnica delle immagini. Ma poche sono memorizzabili, poche sono quelle che fanno soffermare l’occhio per qualche secondo in più, poche contengono informazioni.
Poche fissano i picchetti nella mente dell'osservatore veloce.


La fotografia utile

Una fotografia è utile se non deve essere spiegata, se comunica il suo contenuto almeno al destinatario finale. Se esiste.
Se è difficile comprenderla non è inutile ma complicata. Io non leggo libri in inglese o in spagnolo, ma libri italiani. Se ho bisogno dell'interprete per capire (didascalia, gallerista, flash-code, lo stesso autore...), preferisco che sia già sul luogo e non andarmelo a cercare.
Una foto è utile se posizionata nel contesto ideale. A volte può far “ascoltare” meglio il suo messaggio se posizionata fuori contesto, come una nota stonata che ci scuote: come quando in una fiera del mobile veniamo attratti dallo stand che col mobile non ha nulla a che fare.

Se esistono migliaia di immagini del Golfo di Napoli col Vesuvio, forse è inutile che ne scattiamo altre anche noi. Se capovolgiamo la foto in mezzo a tante altre simili, viene notata e probabilmente in molti si soffermeranno per discutere del perché sia sottosopra.
Una fotografia è utile se ha uno scopo documentativo: mostrare lo stato dei luoghi del territorio in determinati periodi storici, mostrare nuove evoluzioni (o involuzioni) sociali...
È utile se ha una sua collocazione finale e non rimane in un hard-disk; è utile se ha un contenuto-informativo, se ha il destinatario, se provoca una reazione.


Durata delle foto

Non tutti i cellulari di nuova generazione producono immagini con una risoluzione fotografica abbastanza alta da consentire poi la stampa in un formato che vada oltre il 7x10cm.
Le foto scattate con un telefono portatile sono destinate ad essere cancellate per fare spazio ai prossimi click o trasferite su un hard-disk senza badare poi tanto allo storage, all’archiviazione che consentirebbe dopo qualche tempo, il ritrovamento di “quella” foto tra le migliaia scattate.

Non esiste la durata di una foto digitale. Mi è capitato di ritrovarmi dei CD illeggibili sui quali erano caricate foto pochi mesi prima.
Una foto stampata, una lastra fotografica, una pellicola fotografica, in condizioni normali, si conserva più a lungo di un supporto digitale. Non sono poche le storie di amici e colleghi che mi raccontano di HD “saltati”.
Ogni supporto digitale non garantisce l’eternità a un file fatto di pixel.


Formati dei file immagine, sistemi operativi…

Per ogni file immagine c’è l’estensione Tiff, png, gif, pdf, jpg… Sappiamo che il JPEG è uno dei formati standard che consente di poter leggere le immagini digitali su qualsiasi tipo di computer a prescindere dalla casa che l’ha prodotto e dal sistema operativo che lo tiene in funzione. È gratis. Basta aver installato un qualsiasi lettore di immagini.

Anche Whatsapp era gratis. Anche la PEC, la posta certificata era gratis.
Sulla piattaforma Ning c’era la possibilità di realizzare gratuitamente un proprio social network.
Poi Whatsapp, PEC e Ning decisero che gli utenti dovevano pagare. Solo per citare alcuni esempi del "ti faccio vedere e toccare il giocattolo poi te lo tolgo e se lo rivuoi paghi".
Chi ci garantisce che il formato jpeg sia leggibile per sempre e non ci venga richiesto in futuro di pagare un tot per far funzionare un plug in affinché potremo continuare a vedere le nostre foto digitali?
Chi ci garantisce che il jpeg non cada in disuso aprendo le porte a nuovi formati?
Chi ci garantisce che i formati immagini non saranno tra qualche anno solo in RAW e quindi accessibili solo dietro l’acquisto di software dedicato?

Una foto non è veramente nostra se non ne possediamo la riproduzione analogica. Non possiamo possedere pixel, ma la materia sì.
È un po' come scegliere se lasciare nella mente il ricordo di un viaggio o se acquistare il souvenir che ci ricorda quel viaggio. Il cervello può dimenticare, l'oggetto resta.


L’obsolescenza programmata

La fotografia può essere ammazzata anche da decisioni liberiste, o scellerate che siano, delle case fabbricanti di hardware e software.
Un computer della Apple viene considerato “vintage” dopo qualche anno di vita (nonostante il design non sia cambiato rispetto ai modelli di nuova generazione) e quindi non riparabile da un centro assistenza autorizzato. La Apple ha probabilmente un concetto distorto del termine “vintage”. La parola onesta è obsoleto.

Rendere i prodotti obsoleti dopo pochi anni garantisce il profitto alle aziende ma è una strategia economicamente insostenibile per le nicchie più povere dei consumatori.
Se ho una reflex che utilizza memory card del tipo CompactFlash, chi mi garantisce che, se tra qualche anno perdessi tutte le schede di memoria, potrei acquistarne altre perché verrebbero ancora prodotte? E in caso negativo, a cosa mi servirà una reflex che non potrò più utilizzare? Sarò costretto a comprarne una nuova!


Il senso civico della memoria: il caso dell’Istituto Palizzi di Napoli

A che serve un archivio fotografico?
Chi è che non si rende conto dell’importanza del patrimonio archivistico di un’istituzione o di una famiglia?
Di cosa siamo fatti noi? L’esperienza, la storia, la memoria, quanto è importante per poter costruire un presente e un futuro migliori?

Il 15 maggio all’Istituto Statale Filippo Palizzi di Napoli alcuni docenti si accorgono che scatole contenenti lastre fotografiche e pellicole stavano in furgone pronte per essere mandate verso destinazione ignota.
Trattavasi di un inventario di centinaia di oggetti preziosi conservati al Museo Artistico Industriale dell'ex Istituto Statale d'arte. Quelle lastre al bromuro e sali d'argento furono commissionate ai primi del '900 e ritrovate negli anni '80. Servirono per ricatalogare e attribuire molte cose conservate nello stesso museo.

Sarebbe stato un danno storico-culturale perdere quel materiale e bisognerebbe capire cosa porta le persone a considerare con superficialità la conservazione delle informazioni storiche.

“Un popolo senza la conoscenza della loro storia passata,
origine e cultura è come un albero senza radici.”
~ Marcus Garvey


La bellezza e l’analfabetismo fotografico

Per guidare un’auto c’è bisogno di una patente.
Chiunque può invece usare una fotocamera e un PC.
Fotografia fa rima con democrazia.
Tutti possono fotografare e questo non è un problema.
È certa assenza dell’educazione visiva che, accompagnata al cattivo uso dello strumento fotografico che può fare danni.

Scuola di Atene di Raffaello Sanzio (1509-1511)
Senza cultura figurativa, senza conoscenze di estetica, senza l’interesse per certa pittura (personalmente consiglio sempre di osservare opere dal rinascimento all’impressionismo), senza l’osservazione dell’alta ingegneria architettonica della natura, si producono immagini “rumorose”, inutili, inquinanti in termini di impatto ambientale visivo. Immagini che per strane dinamiche di gradimento determinano dei trend che scavalcano ogni canone di bellezza.

La bellezza esiste e va rispettata. La bellezza ha delle regole per essere tale. L’armonia delle forme, il ritmo, il giusto dosaggio degli spazi, i pieni e i vuoti, colori e luci. La bellezza è una sinfonia che non si può generare gettando le note a casaccio sul pentagramma.
Se mangiamo una pietanza senza certi ingredienti non ci piace. Se cucinata con prodotti avariati ci becchiamo qualche crampo allo stomaco.

Se abbiamo la scrivania in disordine, non riusciamo a concentrarci. Il caos ci distrae. La mente esige ordine intorno a sé per raggiugere serenità e quindi funzionare.
Anche la foto di un cadavere va scattata con un suo ordine estetico per sortire un effetto visivo efficace sotto il profilo comunicativo.


© Marco Maraviglia; TUTTI I DIRITTI RISERVATI.
L'intervento è corredato di quaranta slide e comprende altri argomenti affini (byte inquinamento, storia del selfie, Antoni Gaudì, storage delle immagini...).
Chi è interessato ad organizzare un meeting sull'argomento può contattare l'autore.


lunedì 23 marzo 2015

PITTURA E FOTOGRAFIA: QUALI LEGAMI?

Esistono legami tra fotografia e pittura? Quali sono?
Cerchiamo di individuarne qualcuno.

Estratto dell’intervento tenuto il 20 marzo 2015 in occasione del progetto “Fotografa la vita” (per)corso di fotografia sociale organizzato da La Città della Gioia Onlus.

Argomenti dell'intervento:
  • “La pittura è morta!” (Paul Delaroche nel 1839 in occasione della presentazione della dagherrotipia).
  • Leonardo e la camera obscura.
  • Canaletto.
  • Fotografia: realtà oggettiva.
  • Nascita dell’Impressionismo.
  • Il punto di rottura: innovazione, esplorazione di nuove strade espressive.
  • Il disegno preparatorio e gli schemi geometrici.
  • La colorazione manuale delle foto.
  • Plagio o ispirazione?
  • Luce caravaggesca e il light painting.
  • Fotografia ispirata all’arte per la comunicazione.
  • Fotografia come espressione artistica: quando la fotografia è arte?
  • Fotomontaggi e manipolazione.
  • Seurat e la deforestazione col Photoshop.
  • Seurat e gli stili di vita moderni.

Introduzione

L’intervento si è basato su una serie di riflessioni e considerazioni su quelli che possono essere i legami tra fotografia e pittura cercando di fornire una serie di informazioni a volo di uccello a chi era presente in sala.


Il punto di rottura

In qualsiasi campo, in ogni scibile umano, accadono avvenimenti che definiscono quelli che io chiamo “punti di rottura” che definiscono periodi di transizione fatti di studio, ricerca, approfondimento, per migliorare ed evolvere una nuova scoperta, una nuova teoria.
Il punto di rottura è allo stesso tempo un punto di arrivo e un punto di partenza.


Conservatori e progressisti

I conservatori sono quelli che rinnegano il nuovo, hanno paura del cambiamento, quelli che non riescono a comprendere appieno le opportunità di un’intuizione o di una innovazione. Temono il “punto di rottura”.
I progressisti sono esattamente l’opposto. Sono quelli che abbracciano il senso del “siate affamati, siate folli” di Steve Jobs. Quelli che non accusano di eresia un Galileo Galilei. Quelli del “l’immaginazione al potere”.


La pittura è morta?

Nel 1839, in occasione della presentazione del procedimento fotografico di Daguerre (la dagherrotipia), il pittore Paul Delaroche dichiarò che la pittura era ormai morta in quanto riteneva che ormai non c’era più bisogno di pittori che documentassero o che riproducessero la realtà a causa dell’invenzione della fotografia.
Negli anni successivi e fino ad oggi, la pittura ha invece avuto un susseguirsi di periodi artistici che l’hanno evoluta in nuove forme espressive con contaminazioni reciproche con la fotografia.
A cominciare dall’Impressionismo.


Ma la pittura documentava e riproduceva la realtà?

I re o le famiglie borghesi che si facevano ritrarre, ovviamente dovevano piacersi in quei dipinti. In fondo la pittura era un Photoshop ad olio.
C’è della finzione nella ricostruzione di scene di guerra nei dipinti antecedenti alla fotografia; anche se un lazzaretto poteva essere rappresentato perfettamente, con i suoi ammalati di peste, la stessa luce ambiente, era il medium pennello-colore che anche attraverso la sensibilità dell’artista, falsava la realtà.
La pittura è servita per trasmettere informazioni della vita quotidiana di Pompei, per rappresentare scene mitologiche o religiose.
La pittura insomma, ci ha trasmesso “informazioni” leggibili ancora oggi anche se con una componente di soggettività.


Contaminazioni, associazioni, frullati e shakeraggi

Il caos genera stelle nascenti, Friedrich Nietzsche docet.
In qualsiasi campo si operi, la creatività è sempre vincente.
Essere creativi è la capacità di associare elementi di altre sfere, di altre discipline, connetterle tra di loro, fare un po’ di casino, fare uno shaker intelligente di tali elementi per tirar fuori il nuovo.
Non è sempre importante riuscire a creare qualcosa di buono, utile, ma è importante sperimentare, fare ricerca. Provare e riprovare fin quando si diventa padroni di ciò che si fa. E poi, il tempo definirà i risultati.
Con l’invenzione della fotografia la pittura non è assolutamente morta anzi, proprio grazie allo shock ritenuto come una forma di concorrenza, si sono generate nuove espressioni artistiche di cui non a caso l’Impressionismo è stata quella che ha fatto un po’ il verso alla fotografia.


La camera obscura di Leonardo da Vinci e il Rinascimento

Leonardo descrisse nel suo Codice Atlantico il primo sistema per riprodurre la realtà.
Nel Rinascimento nacquero i primi studi della prospettiva. Fino a quel momento la pittura ne era priva. C’era un gap visivo che fu tappato dagli artisti rinascimentali italiani: Brunelleschi, Leon Battista ne furono i pionieri.
Leonardo tra l’altro diffuse, grazie alla sua opera, la tecnica dello sfumato che si sviluppò poi nel tonalismo. I contorni dei soggetti ritratti erano finalmente ammorbiditi, non più netti ma più realistici. La tecnica dello sfumato iniziava a dare anche l’idea della profondità che oggi in fotografia rendiamo usando diaframmi sufficientemente aperti per sfocare lo sfondo, definendo profondità di campo ristrette.
Prima dell’invenzione della fotografia vi sono stati artisti come Canaletto che hanno fatto uso di quella “scatola” che negli anni fu l’anticipazione della prima camera fotografica di Daguerre usata nel 1837.


Il bisogno di documentare con immagini

Tra le esigenze dell’uomo c’è sempre stata quella di voler riprodurre la realtà per documentarla.
Una riproduzione della “realtà” che ovviamente era condizionata anche dal sentire dell’artista oltre che dalle imposizioni di natura politica o religiosa dei committenti.
Perché in fondo, la realtà non esiste.


Il soggettivismo

Qualsiasi rappresentazione pittorica, fotografica o comunque figurativa, non sarà mai fedele alla realtà.
L’immagine trasferisce informazioni ma non la realtà che a sua volta è strutturata su una quantità infinita di quelle stesse informazioni che non possiamo percepire tutte. Non possiamo nemmeno percepirle alla stessa maniera delle persone che stanno con noi in un determinato momento nello stesso luogo.
La percezione della realtà è diversa per ogni individuo il quale riesce a catturare solo una minima parte delle informazioni presenti in un contesto.
La percezione dipende dal background personale. La percezione è esperenziale.
Ogni persona sviluppa una propria capacità percettiva in base al modo di come ha allenato nel tempo i propri “sette sensi”: vista, olfatto, udito, gusto, tatto + anima e cervello (“cuore e mente” direbbe Henri Cartier Bresson).
Non siamo macchine matematiche e quindi i dati che ci arrivano attraverso i sensi, ognuno di noi li elabora in maniera diversa. È come se ci trovassimo in una commedia pirandelliana.


Realtà oggettiva?

Fotograficamente nessuna fotocamera può quindi riprendere fedelmente, oggettivamente, la realtà.
A parità di inquadratura, punto di vista, ISO, tempo e diaframma, focale ecc., dieci o cento fotocamere di diversa marca, realizzeranno nello stesso istante dieci o cento immagini differenti. Perché esiste il sensore CCD che cattura le sfumature di colore che nemmeno l’occhio umano percepisce, c’è l’obiettivo poco definito e quindi non rende i dettagli, l’obiettivo che vignetta…
Ma, innanzitutto, un’immagine fotografica può fornire informazioni limitate solo all’inquadratura specifica e non del mondo circostante fatto di 360°x360° e di tutti i suoni, odori ecc. circostanti: la realtà che noi viviamo sul posto, praticamente.
Vale per l’immagine giornalistica come per la foto pubblicitaria. Entrambe subiscono un processo di postproduzione che veniva fatto anche con l’analogico, in camera oscura: bruciature e schermature, aumento o meno del contrasto… È l’autore della foto (o il committente) che deciderà fin dove spingersi nella manipolazione per rendere all’osservatore il significato di ciò che ha ripreso cercando di far passare le informazioni da lui percepite attraverso il proprio intervento.
Ecco che non ci resta altro da considerare che fotografia e pittura hanno questa stessa affinità: la soggettività dell’immagine prodotta.


La fotografia fa concorrenza alla pittura? L’Impressionismo risponde

Gli artisti escono fuori dai loro atelier. Ne hanno piene le tasche di disegni preparatori, di attenzione al dettaglio nel dipinto, di perfezionismo prospettico, di colori da preparare artigianalmente e quant’altro.
Il Romanticismo apre la strada alle emozioni, ad una pittura in cui è prevalente la soggettività dell’artista.
Gli artisti non ci stanno ad essere offuscati dall’invenzione fotografica. Reagiscono. Approfittano del “punto di rottura” per dimostrare che la pittura può andare oltre le regole seguite fino alla metà dell’800.
E lo fanno quasi sfidando la fotografia, considerato il massimo medium per la riproduzione della realtà, dimostrando invece che le vibrazioni della luce, il movimento dell’acqua e delle fronde percepiti non potevano essere resi da una foto in maniera emozionale e soggettiva come per un loro dipinto impressionista che restituisce un’informazione della realtà per certi versi attiva, viva.


I capricci d’artista e dintorni

Accade allora che, consapevoli della soggettività della realtà, ci si spinga verso la sua stessa manipolabilità realizzando immagini verosimili, impossibili, surreali o comunque trattate secondo i gusti e la creatività dell’artista.
Canaletto realizzò i suoi capricci d’artista come oggi io stesso creo dei luoghi impossibili di Napoli con dei fotomontaggi realizzati col Photoshop.


Le affinità e i legami tra pittura e fotografia non sono poche

I fotografi vendevano le loro immagini di paesaggi agli artisti che a loro volta le trasformavano in dipinti. Accade ancora oggi che un artista prenda spunto da una foto per dipingere (a volte cadendo nel plagio).
Quando le foto erano in bianconero i fotografi erano anche un po’ pittori perché vi intervenivano colorandole manualmente (v. Felice Beato, pioniere della tecnica).
I fotografi possono ispirarsi all’arte per affinare il loro stile e dare un’impronta “pittorica” alle loro foto usando ad esempio la tecnica del painting light utilizzata per dotare di luce simil-caravaggesca  o alla Tintoretto, le immagini (v. Riccardo Marcialis).
Gli artisti seguivano regole accademiche nel dipingere e quindi schemi geometrici che riprendevano i canoni dell’estetica classica: servivano a dare armonia e ritmo alle loro composizioni.
Un fotografo sa che dare un contenuto armonico all’inquadratura che decide, renderà la foto più leggibile, raggiungibile a più persone. Perché la bellezza è anche perfezione e quindi matematica, geometria. E non parlo solo della regola dei 2/3 da circolo fotografico.
Poi c’è tutto un filone di non-fotografia per lo più fuori dai circuiti di mostre e gallerie perché non definibile come “arte” da chi gestisce il mercato-arte. Sono immagini fotografiche postprodotte in maniera estrema che spaziano dal surrealismo al metafisico fino a raggiungere l’astrattismo.


Conclusioni

Esistono legami tra fotografia e pittura? Sì. Anzi, la conoscenza della pittura e dell’arte tutta, dell’estetica da Aristotele in poi, è una preziosa fonte per un fotografo che non vuole limitarsi a registrare solo informazioni in una immagine, ma anche crearle.

© Marco Maraviglia; TUTTI I DIRITTI RISERVATI.
L'intervento è corredato di trenta slide. Chi è interessato ad organizzare un meeting sull'argomento può contattare l'autore.








venerdì 13 marzo 2015

Il ritrovamento delle foto di Che Guevara

Una storia verosimile. La storia del ritrovamento di alcune foto di Ernesto Che Guevara. Leggetela tutta, è strabiliante!!!

Foto di Alberto "Korda" Gutierrez
È stata trovata una scatola di latta in una cantina di un edificio di Buenos Aires che doveva essere abbattuto.
La scatola conteneva alcune pellicole 35mm che sono state consegnate al sindaco Mauricio Macrì insieme ad altri effetti personali trovati nell'edificio stesso.

Macrì, spinto dalla sua nota curiosità intellettuale ha fatto sviluppare le pellicole da un laboratorio specializzato e la sorpresa è stata eccezionale in quanto le immagini sono state subito attribuite al viaggio in moto nell’America latina compiuto da Ernesto Che Guevara in quanto vi sono anche degli autoscatti che riprendono lui col suo amico e compagno di viaggio Alberto Granado.

Il sindaco Mauricio Macrì ha promesso che sarà allestita una mostra permanente nel palazzo del Comune con alcune di queste immagini che sarà esposta da giugno.

Ora, quanti hanno letto fin qui hanno capito che ho inventato una bufala?
Giusto per dire: una notizia senza fonte attendibile, documentata e verificabile è il nulla.

Il trovare qualcosa affascina e coinvolge il nostro immaginario emotivo.
L'ombra del vento di Carlos Ruiz Zafon, Il favoloso mondo di Amélie, il ritrovamento delle teste di Modigliani, e poi le storie vere di Vivian Maier, i rullini trovati in un mercatino delle pulci con Hitler a Napoli, la storia della valigia messicana con le foto di Gerda Taro, la compagna di Robert Capa.

Sono tutte storie che comunque, vere o false che siano, colpiscono la sensibilità di chi ha un background affettivo (storico, ambientale...) secondo me ricco.
Di quelli che si indignano quando sanno di opere d'arte distrutte o esultano quando si ritrova un Michelangelo.

È certo che se racconto una balla, sono il tipo che dice sempre che si tratta di un fake, di una notizia falsa.
Ma quante notizie che leggiamo anche sui giornali sono al 100% vere? Mi divertivano le prime pagine false di "Il Male" di Vincenzo Sparagna, come mi divertono i titoli di "Lercio".
Dubbi, dubbi, sempre dubbi bisogna avere.

Foto di Alberto "Korda" Gutierrez. Creative Commons.

lunedì 9 marzo 2015

FotogrAmando Napoli. Le passeggiate fotografiche con amore

Che cos’è FotogrAmando Napoli. Il format delle passeggiate fotografiche di Marco Maraviglia che racconta ai partecipanti le analogie individuate tra la fotografia e le fasi di una storia d’amore.


FotogrAmando, amore e fotografia, affinità elettive… è una semplicissima scoperta realizzata nella seconda parte della mia vita.
È stata una piccola illuminazione introspettiva forse anche collegata a quel detto “dimmi come mangi e ti dirò come ami”.
Tra fotografia e amore ci sono analogie che non sto qui a raccontarvi perché mi piace discorrerne durante le passeggiate fotografiche di FotogrAmando Napoli ed anche perché sono così tante che occorrerebbe un piccolo volume per raccontarne.

FotogrAmando Napoli è una passeggiata fotografica che si svolge almeno due volte all’anno: in primavera e in autunno.
È un modo sereno per parlare di fotografia ma anche per scattare. Un workshop peripatetico che si apre con la descrizione generale di una storia d’amore associandone ogni fase a quelle del fotografare.
L’attesa a un primo appuntamento, il colpo di fulmine, il primo incontro amoroso… tutto viene associato ad ogni fase di una ripresa fotografica. Anche quando una storia d’amore finisce, ne resta il ricordo, nel cuore e nella mente, come vecchie fotografie attaccate in un album che custodiamo forse gelosamente in un armadio.

Non sono contro le foto fatte con lo smartphone e condivise su Instagram ma ci sarebbe da fare un dibattito de visu per discutere dell’utilità del mezzo associandolo analogicamente alle fasi di una storia d’amore. E questo sarà qualcosa che inserirò nel prossimo incontro del 21 marzo.

Sono passeggiate che non sono sedute psichiatriche ma fanno star bene. Vi partecipano persone di qualsiasi età che cercano stimoli nuovi per avvicinarsi o per approfondire un po’ di tecnica di ripresa e composizione fotografica mettendo in pratica sulla fotografia il loro miglior modo di condurre il rapporto con una persona. Magari trovando nuovi spunti per amare di più.

L’incontro si chiude con ulteriori riflessioni, continuando il gioco delle associazioni tra amore e fotografia. Si discute, si chiede, si cerca di trovare risposte nuove con l’abilità della discrezione, senza invadere la sfera intima dei partecipanti.
Il giorno dopo, la domenica, è invece un momento di discussione sulle immagini realizzate. È la fase delle "coccole", si vede col Photoshop come possono essere migliorate le immagini, accarezzandole con gli occhi, cercando di tirare fuori attraverso la postproduzione, la percezione dell'istante in cui sono state scattate.

Non si entrerà in un confessionale, ma in un luogo di Napoli per conoscerlo, approcciarlo, innamorarsene, scoprendone dettagli che probabilmente erano passati inosservati percorrendolo chissà quante volte.
Come scoprire nuovi aspetti del nostro partner.

mercoledì 4 marzo 2015

OSSERVARE PER CAPIRE, ROBA DA FOTOGRAFI

San Martino e il povero, di Pietro Bernini © Marco Maraviglia
Un esercizio costante del fotografo è quello di osservare con attenzione ciò che fotografa e chiedersi sempre "perché". È un esercizio costante, quotidiano e a volte visitare un museo è una miniera di informazioni che servono a stimolare curiosità, elemento fondamentale per un fotografo.

Al Museo Nazionale di San Martino (Napoli) è custodito questo altorilievo di Pietro Bernini (padre di Gian Lorenzo) che rappresenta la scena di San Martino nell'atto di tagliare il proprio mantello a un povero infreddolito.
C'era qualcosa che mi incuriosiva di questa scultura. Mi sono chiesto "perché" prima di fotografarla. Qualcosa di strano ha attirato la mia curiosità.

Il braccio mancante sosteneva la spada sguainata per tagliare il mantello in due per offrirne la metà al povero infreddolito (era, secondo la leggenda, l'11 novembre che poi è divenuto quel giorno l'estate di San Martino secondo la novella che tutti conosciamo).

Qui, quel che io noto, sembra che il povero quasi voglia rifiutare, imprecando, con un gesto di estrema umiltà, l'opera caritatevole del buon Martino, respingendo il drappo. Addirittura protendendosi sul cavallo che osserva la scena probabilmente spaventato dalla spada e dall'estraneo (il povero) che gli è quasi addosso.
Si noti l'occhio del cavallo spaventato, la spada (che non c'è ma per la regola della chiusura della Gestalt, la vediamo mentalmente) e la mano del povero che fa presa sul mantello, come siano allineati sullo stesso asse: il centro principale dell'azione è su questa linea.

Il mantello non è teso dalla mano del povero affinché possa facilitare a Martino il compito del taglio. Il povero non tira il mantello a sè ma, anzi, la sua mano è posta proprio nel punto in cui Martino avrebbe potuto effettuare il taglio. Quasi a dire "se tagli il mantello rischi di tagliare la mia mano".
Come quando a tavola qualcuno vuole metterci il formaggio sulla pasta e noi prontamente mettiamo una mano sul piatto perché non ne vogliamo.

Il povero, evidentemente nell'interpretazione di Bernini padre, non poteva non avere l'umiltà che hanno i poveri. Si fece pregare per concedergli parte del mantello.
Del resto anche oggi un povero resta povero se non prende, non accetta, non ruba, non truffa, non fotte il prossimo.
La povertà è probabilmente uno stato d'animo di alta nobiltà umana.
"Perché"?



martedì 3 marzo 2015

L'ATTRIBUZIONE DI UNA FOTO

Perché è importante firmare le proprie foto? Per attribuirne la paternità, sapere chi è l'autore che le ha scattate.
Il problema dell'attribuzione delle opere, ma anche delle foto, coinvolge studiosi che si trovano davanti a mille quesiti quando trovano un quadro di cui non sono convinti se appartenente a Caravaggio o a un suo allievo
.


Ho letto un libro interessante: "Storie di musei", Michel Laclotte; edizioni Il Saggiatore.
Ex direttore del Louvre, Laclotte racconta circa i rapporti intercorsi tra lui e conservatori, collezionisti, donatori, gallerie d'arte, con gli architetti per realizzare il Museo d'Orsay e la piramide del Louvre.

Il libro è illuminante per quanto riguarda il problema delle attribuzioni. A volte dopo un restauro l'attribuzione di un'autore a un'opera inizia a diventare discutibile e allora commissioni di ricercatori, studiosi, tecnici, periti, iniziano a dire la loro.
Ci vogliono grandi conoscenze della materia per attribuire un'opera a un artista a colpo sicuro e la conoscenza non viene solo dagli studi accademici ma da dall'esperienza, dalla ricerca, dalla propria memoria e capacità associativa, dalla capacità di saper andare a consultare libri nelle biblioteche e saper cercare nei documenti degli archivi di Stato.
Museo d'Orsay (Parigi) © Marco Maraviglia / Photo Polis

Anni fa mi capitò di vedere alcune vecchie immagini della sovrintendenza di Napoli di cui non si conoscevano i nomi degli autori.
Sarebbe stato bello poterlo sapere.
Oggi con il riconoscimento di immagini similari di Google è possibile (ma con un margine di errore ancora ampio) riuscire a risalire alla paternità di una foto.
Ma molte foto non sono mai state caricate su internet e però anche nei libri o negli archivi storici leggiamo per alcune foto "anonimo". Ciò resta per me una grave mancanza per un'eventuale esigenza di ricostruire la storia del lavoro dei fotografi attraverso le loro immagini. Perché io sono per il "date a Cesare ciò che è di Cesare".


domenica 1 marzo 2015

QUALI SONO LE RADICI DELLA FOTOGRAFIA NAPOLETANA?

© Marco Maraviglia / Photo Polis

Quali sono le radici della fotografia napoletana degli ultimi 30 anni? Qui un contributo fatto di ricordi per cercare di ricordare qualcuno.

Il titolo di questo post prende spunto da quello di un libro da poco edito da Rogiosi: “Fotografia/la radice napoletana” a cura di Dora Celeste Amato.
Mi sono a lungo soffermato su questo titolo riflettendo sul significato di “radice” e su quell’articolo determinativo “la”, “la radice napoletana”, non “UNA radice” ma proprio “LA”.
Bazzecole, mi sono detto. Sfumature, dettagli inutili, pinzellacchere, ma…

Le radici affondano in un terreno da cui si nutrono. Senza terreno l’albero cadrebbe.
Le radici sono la base di un fusto che da esse viene tenuto in piedi, in alto al tronco si propagano rami dando vita a foglie, fiori e poi frutti.
Undici fotografi, solo undici persone possono definire quello che è stato il tessuto "radi-fotografico" negli ultimi 30 anni a Napoli? Io provo a pensarci…



Invidia o fette di prosciutto?

Non parlerò del libro di cui sopra e del suo contenuto perché ne hanno già parlato alla presentazione tenutasi il 26 febbraio al Gambrinus e poi di un libro fotografico è sempre meglio vederlo e leggerlo piuttosto che parlarne. Non ne parlo anche perché il parterre presente alla presentazione scarseggiava di giovani e ciò lascia riflettere: ai ragazzi oggi forse non interessa un mondo di allori e gloria.

Non ne parlo perché in un contesto dove c’è chi esordisce dicendo che Napoli è una città invidiosa con tutta la classe di chi ha ricoperto una carica istituzionale, non fa parte del mio stile per un’eventuale replica. Perché credo che a Napoli non esiste invidia e nemmeno i clan, almeno voglio crederci dall’alto della mia ingenuità. Però paraocchi e fette di prosciutto sugli occhi sì, su questo siamo messi abbastanza bene.

Voglio invece raccontare quello che sono LE radici della fotografia napoletana, secondo il mio personale punto di vista. Non approfondirò ciò che ho vissuto, che ho visto, che ho saputo ma mi limiterò semplicemente a ricordare qualcosa. Pochi riferimenti per non (far) dimenticare. Non scriverò un elenco di chi ci è stato e c’è ancora, molti fotografi non li conosco anche perché in tanti pur vivendo a Napoli lavorano o hanno lavorato all’estero o per l’estero

Certo che il bisogno di realizzare un piccolo volume enciclopedico sulla fotografia partenopea si avverte nell’aria. Ma ci vorrebbero veri studiosi, super partes, di quelli che farebbero ricerche partendo da zero per comprendere tutta l’evoluzione del complesso reticolo della fotografia in città, almeno degli ultimi trent'anni. Almeno per cercare di affrontare l’argomento “fotografia a Napoli” a 360°. Per rendere onore a chi ha contribuito a tale evoluzione, per non lasciare in un limbo storico chi invece ha generato qualche fiore.

Qui voglio lasciare il mio contributo a tali eventuali futuri studiosi di un fenomeno napoletano che continua a custodire troppi vuoti su ciò che è accaduto negli ultimi anni. Qualcuno deve pure iniziare.
E avanti il prossimo.


Prima delle radici, il terreno.

Senza terreno non esistono radici.
Considero terreno tutta quella filiera di commercianti di articoli fotografici, il parco editoriale, le agenzie pubblicitarie di Napoli.


I negozi di articoli fotografici

Sbrescia si trovava in via Paolo Emilio Imbriani. Aveva anche un magazzino dalle parti di Piazza Garibaldi, ma in quel negozietto sotto via Toledo ci trovavi comunque tutto. Umberto Sbrescia trattava tutti i fotografi con grande abilità. Aveva un quadernone di conti in sospeso perché già negli anni ’80 sapeva che alcuni fotografi non avevano i soldi per pagare il materiale se prima non vendevano il lavoro.

Da Sbrescia si incontrava la crème dei fotografi. Lì vidi per la prima volta Umberto Telesco e Cesare Accetta. Quando arrivava qualche fotoreporter in Vespa, aveva la precedenza nell’essere servito perché erano sempre di corsa: effetti collaterali della fotografia analogica.

Poi c’erano Velotto Romano a P.zza Garibaldi e Spasiano in via Torino dove Aniello era il commesso dalla grande disponibilità ed umiltà.

I foto-negozianti all’epoca erano persone appassionate non di fotografia, ma dei fotografi stessi. Sapevano riservare trattamenti adeguati per ogni fotografo. Consapevoli di essere parte di un terreno che andava coltivato. A volte anche rischiando, prestandoci un obiettivo in prova per un giorno.

Da un portone di via Duomo si arrivava alla putechella congelata dal tempo di Giuseppe Martusciello che per me era il mago dell’aggiusto di reflex, obiettivi e flash. Non c’era fotografo che non si servisse da lui. Poi arrivò il digitale, ma Peppino continuava a riparare attrezzature analogiche pur essendo già in pensione. Recentemente il figlio Mariano ha raccolto in un video-documentario alcune testimonianze rilasciate dai fotografi che conobbero quel piccolo ospedale della reflex in occasione della mostra Antica bottega artigiana Martusciello tenutasi al 65mq di Milano.


Le agenzie pubblicitarie

Le agenzie pubblicitarie storiche di Napoli erano la OCTA di Petronio Petrone, la Ennestudio di Alessandro Niccoli, la Fabris di Silvio, Francesco Del Vaglio… e poi dopo ci furono (tra quelle che ricordo) Arké, la Duea, la Forum, la Baxter - Fisher & Sparice

Alcune di queste agenzie erano gestite da personaggi progressisti che erano sempre a caccia di nuove leve di fotografi da testare, provare. Era in parte una realtà partenopea dinamica ed abbastanza inclusivista. Se potevi offrirgli come fotografo ciò che cercavano, lavoravi per loro anche senza vantare un curriculum particolare. Vedevano il portfolio e al momento adatto si ricordavano che esistevi.

Tra i nomi di fotografi che ricordo e che lavoravano per queste agenzie c’erano il maestro dello still life di Napoli Ugo Pons Salabelle, i fotografi di moda Fabrizio Lombardi, Alfredo Carrino e Ippolito Baly, Quaranta & Nasca, Salvatore Ecuba specializzato in fotografia di arredamento ma noto come cerimonialista, lo Studio Ella di Gennaro Esposito e poi Laura Eboli, Paolo Cappelli e Stefano Greco dell’ex Gruppo Hydra, Massimo Menna e tanti altri tra cui io che dal 1985 promuovevo a Napoli immagini stock di archivio di paesaggi ed altri soggetti sotto il nome di Clik for Look.

Senza poi considerare una cifra di fotografi napoletani che con Napoli hanno avuto ben poco a che fare vantando un parco clienti (inter)nazionale come, ad esempio, Vittorio Guida.


L’editoria

Altro terreno per i fotografi era quel po’ di editoria e giornalismo che c’era a Napoli.
Un territorio, l’ambito dei quotidiani partenopei, piuttosto duro per i free-lance napoletani rispetto a ciò che era il mercato romano e milanese. A tal proposito cito l’esperienza di "auto-restyling" di Toty Ruggieri che da fotoreporter free-lance quale era, vedendo che il mercato del reportage iniziava ad essere stretto, intorno al 2001 sfruttò la sua esperienza di fotografo on the road (street-photography) iniziando a lavorare nel campo della moda.

A Napoli se riuscii a piazzare foto a La Repubblica fu grazie ad Antonio Tricomi che mi presentò Carlo Rossi, l’allora photo-editor; e se riuscii a vendere foto a Il Mattino fu grazie all’indicazione del fotografo Luciano D’Alessandro che senza nemmeno sapere chi fossi mi disse “vai a nome mio”. Altrimenti non sarei mai riuscito ad entrare in quelle redazioni e mi sarebbero restate solo quelle di Roma e Milano che sembrava aspettassero me quando vi andavo.

Fotocine80 era l’unica rivista di fotografia nazionale realizzata a Napoli. Diretta da Ettore Bernabò Silorata ebbe il merito di fare una sorta di censimento dei fotografi di Napoli agli inizi degli anni ’80 realizzando la mostra Napoli e la fotografia alla Sala Gemito.

E poi ci fu NapoliCity il primo giornale nostrano dove per la prima volta si leggeva in un colophon la dicitura “art director” e il ruolo era ricoperto da Toni Di Pace. Officina per tanti aspiranti giornalisti che oggi ritroviamo professionisti nelle principali redazioni. Ma anche un’opportunità per gli emergenti fotografi di moda che definirono un genere tutto partenopeo.

Inoltre c’era un certo tipo di editoria che era terreno per i fotografi che lavoravano sui beni culturali e sul paesaggio di Napoli e le immagini di Liciano Pedicini e Luciano Romano furono per me ottimi riferimenti per comprendere come avvicinarsi a quel genere fotografico.

Nacquero altre riviste come Napoli Guide di cui il capo servizio immagini era Giovanni Mantova (specializzato in fotografia aerea), Team (Art Director Ferdinando Polverino), Napoli Salute (diretto da Carlo Gambalonga) che generarono nuovi fotografi. Poi iniziarono a nascere riviste per destinate a morire dopo 2-3 numeri e che pagavano solo in “visibilità”.

Comunque il mercato principale era su Milano e sfogliando ad esempio le riviste di viaggio e turismo si trovano nomi come Peppe Avallone, Gianni Fiorito (che nel frattempo è diventato la nostra punta di diamante della fotografia di scena per il cinema), Massimo Siragusa, Pasquale Sorrentino, Roberto Della Noce e Francesco Cito che è una delle poche perle del reportage internazionale generata da questa città.

L’elenco dei fotoreporter di attualità, cronaca, gossip, spettacolo, conosciuti tra gli anni ’80 e l’inizio del XXI secolo sarebbe interminabile; ma giusto per aiutare chi si vorrà occupare di un volume enciclopedico cito Enzo Landi (ormai romano di adozione), Ciro Fusco (approdato poi all’ANSA di Napoli), Pino Miraglia, Mario Spada, Stefano Renna, Ciro De Luca, il da poco perso Franco Castanò, Cesare Abate, Giulia NardoneSilvio Siciliano… ed altri ancora che non ho mai conosciuto personalmente. Sono tantissimi.


Le agenzie fotografiche

Non si possono non citare l’onnipresente agenzia fotografica Fornass di Salvatore Sparavigna nata nel 1986 e l'agenzia Controluce fondata nel 1991 da Mario Laporta che non hanno bisogno di ulteriori descrizioni per gli addetti ai lavori.
Luoghi dove sono cresciuti e si sono "fatti le ossa" molti attuali fotoreporter.


I fotolaboratori

“Terreno fotografico” erano anche i principali fotolaboratori di Napoli dove incontravi grandi professionisti e fotoamatori. MEF di Francesco Esposito era il posto in cui andare se volevi un lavoro artigianale fatto secondo le tue esigenze specifiche ed esiste ancora. Copyright a via Cornelia dei Gracchi era l’approdo per chi voleva le diacolor sviluppate in giornata ed era un laboratorio “aggregativo”: le mostre fotografiche che teneva periodicamente diventavano poi calendari di cui tuttora ne conservo le copie. Una piccola curiosità voglio segnalarla: Giuseppe Matarazzo lavorava in Copyright e probabilmente fu a forza di guardare pellicole e cibachrome che sviluppava per i fotografi professionisti che poi iniziò ad occuparsi di fotografia di moda.
Photofast” era ed è tutt’ora il laboratorio “dei gemelli” di via Cisterna dell’Olio. Lo sviluppo di pellicole e la stampa a colori in un’ora, nel centro di Napoli, era l’allora figata per molti fotografi.

I fotolaboratori erano momenti in cui ci si incontrava, conosceva, si sbirciava sui lavori dei colleghi per vedere a cosa stavano lavorando, girava qualche inciucio, ci si scambiava il numero di telefono e poi nasceva qualche collaborazione. Anche se a distanza di anni.


Il concime

Il concime, momenti di conoscenza della fotografia che hanno contribuito alla crescita e allo scambio professionale dei fotografi e alla nascita di alcuni di loro.

Augusto De Luca (oggi noto anche come “il Cacciatore di Graffiti”) dalla metà anni ’80 agli inizi dei ’90, teneva un affollato corso di fotografia presso una sala del laboratorio Krome sito in via San Pasquale a Chiaia.

L’Associazione Nazionale di Fotografi Professionisti TAU Visual stimolava incontri tra i soci per scambiarsi consigli e competenze che poi si sono evoluti negli attuali incontri denominati Senior meet Junior in quanto aperti gratuitamente alle nuove emergenze. Tra i soci di TAU Visual conobbi Massimo Vicinanza (sconosciuto a molti in città perché ha quasi esclusivamente lavorato per la stampa estera) e col quale poi recentemente abbiamo fondato l’associazione culturale Photo Polis; Davide Visca (pioniere di una proposta ai soci per la realizzazione di un sito web a costi irrisori per l’epoca); Roberto Macrì (attualmente tecnico specializzato dell’archivio della sovrintendenza di Bologna) era un altro socio di TAU Visual e fu pioniere con Newpoli del primo centro di servizi per la fotografia (1983).

A metà degli anni ’90 Sergio De Benedittis (prematuramente scomparso) in Piazza San Domenico Maggiore mise sù Nigma Fotografi, una vera e propria factory, un’officina fotografica che produsse nuove realtà fotografiche come Sergio Grispello e l’attuale Studio .1 di Pasquale Sanseverino. Ancor prima, nella casa di Sergio in via Caldieri ci si riuniva col “gotha” della fotografia napoletana e con Vera Maone intendeva realizzare “qualcosa”. Riunioni che poi furono ospitate presso l’Archivio Parisio (rilevato da Stefano Fittipaldi) e che portarono alla programmazione de I lunedì della fotografia aperti al pubblico.

Intanto nel 1992 nasceva la ILAS come scuola di grafica ed oggi anch’essa fa parte di quel terreno che stimola e forma nuovi aspiranti fotografi.


Le mostre

Sono stato un pessimo frequentatore di mostre fotografiche. Per me la fotografia andava guardata, osservata sulle riviste patinate, sui libri, sui "6x3" o all’interno delle brochure pubblicitarie perché ho sempre pensato che, siccome pagata da qualcuno, da un editore o altro tipo di committente, aveva un suo valore già comprovato.

Però ricordo la prima mostra che vidi a un Fotocine alla Mostra d’Oltremare, credo fosse nel 1983. Rimasi colpito dalla suggestiva brillantezza del cibachrome e, ricordando quella collettiva di fotografi, mi rendo anche conto di quante immagini attualmente vengano appese inutilmente a un chiodo.


Radici

Le radici affondano nel terreno e man mano danno vita a un fusto sempre più forte che si ramifica facendo nascere foglie e poi fiori e poi frutti.
Quanti frutti sono nati dalle radici della fotografia di Napoli? Quanto è stato fertile il terreno?

C’è qualche fotografo professionista che può affermare di avere avuto un Maestro che gli ha insegnato l’arte della fotografia?
Io non lo so perciò me lo chiedo.
Ti va di dare il tuo contributo per questa mia ricerca?


Oggi

Oggi vedo in rete tante buone immagini di fotoamatori che spesso hanno poco o nulla da invidiare ai professionisti “storici”. Nessuno ne parla. Nessuno tra gli addetti a lavori, tra quelli che “scrivono la storia” ha la volontà “politica” di scoprirli e questo credo sia un danno per l’evoluzione e l’internazionalizzazione della fotografia partenopea ce viene così penalizzata spostando irrimediabilmente i riflettori su altre città.
Perché ritengo il nuovo scenario napoletano un’eccellenza.

Molti fotografi sono autodidatti. Alcuni hanno una padronanza del Photoshop strepitosa. Altri lavorano a progetti interessanti che probabilmente non vedranno mai la stampa perché c’è crisi ma anche perché mancano editori illuminati, agili.

Ne conosco di questi fotografi ma parlarne ora significherebbe tediarvi con altri fiumi di parole. Facciamo che magari mi riservo di raccontarvi di loro più in là. Il tempo di ripulire un po’ di naftalina.

© Marco Maraviglia –tutti i diritti riservati – Vietata la riproduzione anche parziale di questo testo senza il consenso dell’autore.
Si ringrazia Massimo Vicinanza per l'editing del testo.

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