martedì 24 ottobre 2017

Salgado, l’espressionista in bianconero della Terra tinto di color intrigo

Fino al 28 gennaio Salgado in mostra al PAN di Napoli con Genesi.
Un artista, più che fotografo ma spuntano dalla rete alcune contraddizioni sul suo messaggio ambientalistico.



Genesis. Da dove inizia il mondo.

Brasile 2005; © Sebastião Salgado/Amazonas Images/Contrasto 
Le immagini di Salgado si ascoltano, le osservi e senti quei silenziosi brusii delle distese immense di terre ghiacciate comandate da pinguini e iceberg. Ascolti il fogliame delle foreste sfiorato dalla brezza lenta. Senti il mare setato. Avverti l’ansimare delle renne che migrano faticosamente nella neve. E ascolti l’allegria delle nude donne amazzoni che scendono il corso di un ruscello sorreggendosi tra loro e dalle movenze che ricordano le bellezze di Canova o le Venere di Mucha, Botticelli e dintorni.

Suoni, rumori e parole essenziali. Atmosfere audio da new-age. Si parla poco a migliaia di chilometri da qui. Solo parole utili. Niente talk-show, niente blablabla, niente politichese. La sopravvivenza in terre dove non ci sono supermercati, energia elettrica, auto… conduce all’essenziale assoluto.
Alla Genesi. Lì, dove tutto ha origine.


Salgado mito

È Sebastiao Salgado che ci regala queste emozioni. Un distinto signore che tra la folla dell’inaugurazione di Genesi al PANPalazzo delle Arti di Napoli, sembrava che provasse un leggero disagio. Forse abituato a rispettare le folle di pinguini, trichechi, renne, probabilmente gli fa un certo effetto vedere gli umani che si stringono a lui senza rispettarne lo spazio vitale come se fosse, senza volerlo, la rock-star del momento.

È Salgado, l’ex economista che decide di attraversare i luoghi dove la natura è ancora incontaminata ma comunque a rischio a causa di quella mano umana che sbaglia; sbaglia anche ad appendere una delle sue fotografie che lui stesso, in una delle sale espositive del PAN, provvede con la moglie a capovolgerla nel verso giusto.

Corporatura asciutta, cranio scolpito, con lo sguardo affollato di tutte le immagini che ha visto nei luoghi più lontani dall’uomo. Sembra un asceta. Dall’espressione leggermente tormentata.


Bianconero

Chi lo dice che la fotografia in bianconero annoia? Chi dice che solo il colore può rendere la bellezza dei luoghi nella sua interezza?
Chi ha frequentato qualche corso di fotografia in bianconero avrà sentito dire che il bianconero serve a “drammatizzare” la scena, a non distrarre l’attenzione da ciò che deve effettivamente essere visto. Ma quanti corsi di fotografia riescono a trasmettere i trucchi e segreti per una lavorazione del bianconero a regola d’arte?


Bianconero d’artista

Credo che Salgado vada visto come artista prima che fotografo, perché riuscire a raccontare la vita contemporanea del pianeta terra con la sola scala dei grigi non è qualcosa che può permettersi chiunque.
A qualcuno non piace l’estetizzazione estrema e pittorica delle sue immagini ma, diciamoci la verità, non è un fotoreporter nell’accezione più pura del termine ma un borderline, un solitario, uno che va per la sua strada superando non solo i confini geografici ma anche quelli tra fotografia ed arte, tra reportage e pittura. Se poi riconosci una sua foto tra cento, significa che ha probabilmente reso universale un modo di percepire.


La tecnica

I suoi bianconeri ricordano quei fotografi che usavano sapientemente i filtri colorati davanti all’obiettivo per esaltare la densità cromatica del cielo aumentandone il contrasto con le nuvole o far spiccare le chiome degli alberi con un filtro color verde, cyano, rosso e, ancora, quelli a densità neutra per aumentare i tempi di esposizione per “setare” il mare o per ovattare le nuvole. Filtro polarizzatore? Effetti a infrarossi? Maestria del bianconero. Maestria della postproduzione. Quella delle spennellate non casuali in Camera Raw e del giusto dosaggio di chiarezza, luci, bianco, curve di livello…

E personalmente glielo perdono qualche trucco in più perché non mi convincono certe ombre, alcuni contrasti tra la terra e l’acqua, certi piani innaturalmente sfocati o mossi; perché comunque fanno parte della percezione del fotografo che vuole restituire all’osservatore. La percezione se non è condivisa fa perdere parte dell’utilità di una foto.

Anche in certa pittura del Rinascimento e del ‘600 la luce era artificiosamente innaturale, con punti luce di candela nella scena e che l’artista ovviamente non ritraeva. Era una sorta di paint-lighting della fotografia ante litteram.

Gliele si perdonano queste manipolazioni perché ti rendi conto che c’è comunque una grande impostazione fotografica di base come il sapersi scegliere la luce di albe e tramonti, i controluce e tutto ciò che resta della gamma di luce estrema.


L’espressionismo

Se volessi collocare Salgado in un genere artistico-pittorico, direi che è un espressionista.
Il dramma del pianeta vissuto in una calma apparente. L’uomo e il suo mondo raccontati non con un CCD ma con le sensazioni assorbite dal fotografo che ridipinge i suoi ricordi per restituirci percezioni simili a quelle da lui stesso vissute sul luogo.

Nessuna fotocamera produce una fotografia corrispondente alla nostra memoria visiva ed emozionale dell’istante in cui l’abbiamo scattata. Perciò dobbiamo sempre manipolarla per restituirle ciò che abbiamo visto al momento dello scatto. Esasperando la post-produzione entriamo nella sfera soggettiva, nell’interpretazione dell’immagine. Per ricreare ciò che abbiamo sentito dentro e non solo quel che abbiamo visto. Ma per un’elaborazione digitale espressionista bisognerebbe essere padroni innanzitutto del nostro cuore oltre che dello strumento. Saper trasformare sensazioni in numeri.
In realtà si è sempre fatto così. Anche H. C. Bresson preferiva scurire i suoi cieli in camera oscura.


L’attivismo e le contraddizioni

Ed eccoci a quella che qualcuno definirebbe la "dark side" di Salgado. Il suo patto col diavolo o, se si guarda da un altro punto di vista, la sua lotta col diavolo da riconvertire.

Brasiliano e quindi sensibile a tutte le problematiche di sfruttamento ambientale del suo Paese, fondò nel 1998 con la moglie Lelia Deluiz Wanick Salgado, l’Instituto Terra organismo per lo sviluppo sostenibile della Rio Doce Valley e con encomiabili progetti di riforestazione su grande scala.

Ottimo. Ma gli ambientalisti contestano che L’Instituto Terra abbia tra i maggiori sponsor di Genesis, la multinazionale Vale che si occupa di estrazioni minerarie ed è responsabile (nella misura del 9% ci tengono a precisare Salgado e la Vale) del crollo di una diga che ha causato uno tsunami contaminato da rifiuti tossici e che ha distrutto il villaggio di Bento Rodrigues.

Insomma, ci si trova di fronte a un problema etico di cui lo stesso Salgado cerca di dare giustificazioni che però non soddisfano in pieno gli ambientalisti.
In merito è interessante la chiusura di un articolo del 2014 di Irene Guida su Exibart:

“Questo mi sembra il limite politico di questa mostra, sponsorizzata insieme da WWF e da Vale, la più grande compagnia mineraria di estrazione di ferro della valle del Rio Doce, cui i genitori di Salgado si sono rifiutati di vendere i terreni perché non fossero utilizzati a fini estrattivi e che ora i figli stanno rinaturalizzando.
In questa ambiguità risiede la potenza e la speranza consegnata da Salgado alla società e ai propri potenti sponsor. Una condizione che ci riguarda tutti e che costituisce il vero significato politico, forse non interamente volontario di questa mostra. La condizione di ambiguità dell'ambientalismo è centrale; con questa ambiguità dovremo abituarci a coesistere perché il corpo esposto della terra ha lo stesso valore del corpo nudo delle modelle, degli schiavi e delle risorse che non si rinnovano, per quanto possiamo cercare di rigenerarle.”

Evitare certa arte per un senso etico-morale?

C'è qualcuno che non entra nei palazzi di architettura fascista tipo il palazzo delle poste a P.zza Matteotti a Napoli o la Mostra d'Oltremare?
Leonardo da Vinci progettava atroci e violentissime macchine da guerra per il potere. Tanti pittori ritraevano i Reali che ordinavano guerre. Ma oggi nessuno si sogna di evitare la visita al Louvre per non vedere la Gioconda come invece qualcuno ha proposto in rete di boicottare la mostra di Salgado.
È vero, ci sono salti temporali e i fatti non sono contemporanei, ma una mia parte morale mi fa pensare che Leonardo oltre ad essere un genio era un bastardo.
Tutta la vita è così. Non dico che c'è da rassegnarsi ma l'importante è essere consapevoli delle scelte etiche fatte da chi ci propone il suo lavoro.
Per prendersi solo il meglio che c'è della Grande Bellezza.


“Genesi” – Sebastião Salgado
Pan/Palazzo Arti Napoli
Via dei Mille 60 – 80122 – Napoli
Fino al 28 gennaio 2018
Orari: tutti i giorni tranne il martedì dalle 9,30 alle 19,30
La biglietteria chiude un’ora prima