mercoledì 2 novembre 2016

LA MAGNUM SVENDE LE SUE FOTO?

Fino al 4 novembre è possibile acquistare per 100$ una stampa fotografica 6x6" di un grande fotografo della Magnum. Troppo poco? Ecco perché...


Questo a lato è lo screenshot del twitt che mi capitò di leggere la mattina del 28 ottobre.

Un annuncio così ti fa pensare tante cose e la prima che ti viene in mente è quella dell’ulteriore affossamento della fotografia in cui grandi firme si rendono complici di un’operazione commerciale che fa tanto circolo ricreativo.

Oggi ho voluto un attimo approfondire la cosa e, pur non conoscendo bene l’inglese, mi sono fatto aiutare dal traduttore automatico di Google andando direttamente sul sito della Magnum.

E scopro…

Scopro che in realtà non è che si possa acquistare granché ma si può scegliere solo tra un totale di 72 foto relative a un progetto Magnum: "Conditions of the heart: on empaty and connection in photogtaphy".

Settantadue immagini realizzate per esplorare “il concetto di empatia e le connessioni vitali tra fotografo, soggetto e il pubblico”.
Stampe in formato 6x6” (15,24x15,24cm). Se vuoi tutto il kit di 72 foto, ti mandano il box per soli 5.350$ invece di 7.200$.

Se vuoi acquistare un H.C. Bresson per circa 90,00 euro, resterai deluso: non c’è Bresson in questa collezione. Se vuoi il cane che salta di Erwitt, non c’è ma puoi accontentarti di una foto della donna il cui volto è coperto dal cane che ha in braccio. Vuoi l’afghana con gli occhi verdi di Steve McCurry? Non c’è ma potrai accontentarti di un’altra foto un po’ sconosciuta ma pur sempre di McCurry.

Personalmente la trovo un'operazione intelligente...

Da un lato la Magnum fa cassa senza sputtanarsi più di tanto perché vincola l’offerta della vendita in un arco di tempo brevissimo da loro inteso come “esclusivo” (dal 31 ottobre al 4 novembre) e inoltre non mette in gioco le grandi icone della fotografia che fanno parte della nostra memoria ma propone, se non li vogliamo chiamare “scarti”, foto “secondarie” e, diciamolo, un po’ “anonime”.

Del resto sono tante le aziende che realizzano linee basic, o luxury per poter conquistare varie fasce di mercato. È il marketing, baby.

Dall'altro lato riescono a far entrare fotografie nelle case e negli uffici a costi accessibili valorizzando e valutando la potenza comunicativa della fotografia secondo quello che è la finalità del progetto (pretesto?): “….connessioni vitali tra fotografo, soggetto e il pubblico”.

Una sorta di indagine di mercato in campo. Un test di gradimento verso l’esterno, verso un pubblico che non è editore, ma piccolo o grande collezionista o semplice appassionato di fotografia, “fanatico della firma”, cacciatore di autografi. È questo il pubblico col quale intende probabilmente connettersi la Magnum.
E poi, poter esibire una foto Magnum in casa può fare sempre un suo effetto anche verso i propri ospiti.

Bisogna inoltre pensare che ci sono aziende che non fanno pubblicità attraverso spot televisivi o acquistando spazi pubblicitari ma investono in altre forme di comunicazione a cominciare dal door to door.

Da anni la migliore pubblicità per alcuni designer, artisti, fotografi, consiste in un loro pezzo presente nella scenografia di un film o in una fiction.

Forse la Magnum Photos non ha bisogno nemmeno di farsi pubblicità presenziando case ed uffici ma il desiderio di lasciare traccia, come marcare il territorio, è insito nella natura di chi lavora sulla fotografia a prescindere se sia fotografo o agenzia o editore…

Forse un giorno lontano l’archivio della Magnum potrebbe non esistere più. Non c’è nessun piano mondiale che riguardi l’ereditarietà, l’organizzazione e la fruizione degli archivi fotografici. Esistono le biblioteche nazionali ma gli archivi fotografici nazionali?

Far giungere immagini di archivio in contesti privati di tutto il mondo è un po’ come assicurarsi di lasciare quel segno, quella traccia un po’ narcisa ma necessaria per la divulgazione di centesimi di secondo realizzati da chi comunque prima di scattare, pensava.

domenica 9 ottobre 2016

Il magico mondo dello chassis

Memoria, memorizzare, archiviare, ricordi…
Impressionare su pellicola. Diottri di un sensore che catturano.
Immagini…
Il mondo non esisterebbe se non esistesse la memoria.
Gli specchi riflettono la vita che gli scorre davanti.
Un giorno forse, qualcuno riuscirà a decriptare il codice degli specchi per ricostruire la vita avvenuta nelle stanze da letto, nei bagni pubblici e privati, negli ascensori, in certe hall di albergo…
Immagino sensori applicati su uno specchio collegati a proiettori di realtà aumentata, in 3D, olografici.
Magari con l’opzione di filtrare il bello o il brutto, l’allegro e il triste…
Specchi testimoni del tempo.

Scanner, sensori di fotocamere digitali, otturatori, chassis…
Oggetti che servono per produrre immagini.
Immagini…
La vita in parte non esisterebbe se non ci fossero le immagini.

Chassis.
Custodi abbandonati dagli istanti di vita.
Quanti centesimi di secondo, quanti secondi ha visto uno chassis.
Un giorno forse, qualcuno riuscirà a decriptare il codice degli chassis per ricostruire la vita avvenuta davanti a una fotocamera a soffietto.
E tutti i ricordi torneranno ad esso.
È il mondo meraviglioso della fotografia, quella che produce immagini e per immaginare ciò che oggi è impossibile.
Custodire il custode è come conservare un piccolo patrimonio del passato proiettato nel futuro.
Come preservare la speranza di avere un giorno un C14 o un DNA anche per quello che oggi può sembrare un semplice oggetto d’antiquariato in legno.
Il futuro remoto è possibile.


A cosa serviva lo chassis? Vedi il video.

domenica 24 luglio 2016

I mari e i muri della Procida di Monica Memoli

Fino al 5 agosto è possibile visitare la mostra fotografica “Procida Mari e Muri” di Monica Memoli presso Terra Murata nella chiesa S. Margherita, un incantevole luogo incorniciato da uno dei più suggestivi panorami del Mediterraneo.


Monica Memoli e l'Assessore alla Cultura di Procida Nico Granito
Dettagli astratti ma che invece esistono, non sono disegni e nemmeno dipinti, ma linee, forme, colori, visti da vicino, da molto vicino, che ci restituiscono le atmosfere di Procida. Un’isola che seduce non solo attraverso i profumi della vegetazione sparsa tra strade e cortili, o per i tradizionali Ape e il belvedere della Corricella, ma anche attraverso quei segni di cui Monica Memoli è cacciatrice.
Segni subliminali che normalmente non cogliamo con lo sguardo quotidiano, ma che sono quelli che compongono l’atmosfera procidana.

Astrattismi geometrici casuali ritratti sul campo, contemplazione di quell’invisibile mondo intorno a noi fatto di pezzetti, essenziali, raccontatori dell’esistere che fanno parte di un insieme.
Una persona è fatta di dettagli, capelli, occhi, sorriso, gambe, mani, rughe, postura, carattere… per conoscere una persona a fondo, specie se si ama, la conoscenza va approfondita, esplorata nell’intimità. Guardare in superficie è come leggere solo i titoli di un giornale; vedere un film senza ascoltarne i dialoghi è come un parlare senza pensare ciò che si sta dicendo.

Mari e muri ci raccontano.

Intorno a noi è l’armonia, il ritmo che ci rasserena. Un equilibrio che va ricercato nel caos del visibile quotidiano. Cerchiamo percorsi specifici individuando punti di riferimento che tendono ad isolare l’inutile nel marasma di informazioni. Mettiamo ordine, selezioniamo. Diventiamo essenzialisti. È il bisogno di ripristinare il nostro stato d’animo. Ritrovare un dialogo con noi stessi cercando e trovando ciò che ci piace.

Ci sono personalità emotivamente caotiche, passionalmente vulcaniche ed entusiaste che assorbono in sé tutto ciò che le circonda. Costantemente alla ricerca di ciò che piace. Poi sentono il bisogno di resettare. Di “mettere ordine sulla scrivania” per ritrovare sintonia tra mente ed esterno. Ritrovare la concentrazione.
Monica Memoli utilizza la fotografia anche come mezzo “terapeutico”. E si catapulta dalla sua esuberanza amicale e di grande socievolezza alla solitaria ricerca dell’essenziale.
Ed ascolta, più che osservare. Ascolta Mari e Muri scoprendone segni e parole che raccontano Procida nella sua essenza, attraverso quelle grafiche geometriche che fanno ritrovare l’armonia nello spazio caotico.

Mari e Muri. Sembrano due filoni differenti. Due temi opposti. I muri sono statici, fermi; il mare è in continuo movimento. Ma Monica ci dimostra che anche i muri sono in movimento. Vivono.
Col variare dell’angolazione della luce del sole, la texture, la grana degli intonaci, varia e con essa le ombre che vi si proiettano si allungano, si deformano, si dilatano o si stringono, rilasciando più o meno profondità al racconto dei muri. Amplificando geometrismi che allontanano o avvicinano alla realtà. Dove le stesse ombre rendono vivo e dinamico un muro.

Anche il mare non è mai fermo. Banalmente diciamo che il mare è blu, è verde, brilla all’alba o al tramonto. È nero la notte. Ma Monica, come se sottolineasse sulle pagine di un libro le frasi principali di un romanzo, legge ed evidenzia le “parole” del mare. Scorge riflessi, striature di colori a volte nette, altre sfumate e le trascrive in un fotogramma.

Gli impressionisti dipingevano l’acqua cercando di riprodurne la percezione del movimento e i molteplici colori dei riflessi restituendo una visione percettiva di un lago, del mare, di un fiume. Monica Memoli ha una visione diretta del mare, non cerca l’interpretazione percettiva, ma il messaggio nudo e puro di esso e che comunque non tutti siamo abituati a cogliere.


INFO:
Procida Mari e Muri
Chiesa S. Margherita - Terra Murata
Dal 22 luglio al 5 agosto
lunedì e martedì dalle 16:00 alle 20:00 e dal mercoledì alla domenica dalle 10:00 alle 14:00 e dalle 17:00 alle 21:00.
L’evento è patrocinato dal Comune di Procida.



lunedì 13 giugno 2016

Sostieni la raccolta fondi per Impossible Naples Project

Tutti gli appassionati di Napoli sono chiamati!!!
Un crowdfunding per Impossible Naples Project.
Tutto ciò che vedrai è falso!
Napoli, riconoscerla per conoscerla.
Una mostra esperienziale per una nuova percezione visiva della città.


Dal 10 giugno al 20 luglio sarà attiva sulla piattaforma Eppela.it la raccolta fondi per Impossible Naples Project, una mostra esperienziale organizzata dal fotografo Marco Maraviglia in collaborazione con l’Associazione Culturale Photo Polis.

Impossible Naples Project, consiste in alcune reinterpretazioni di immagini di Napoli che stimolano una diversa percezione visiva della città, mostrata in maniera fantastica, surreale, metafisica. Fra le immagini esposte ci sarà anche Metamorfosi Reloaded, il panorama di Napoli più lungo del mondo, che sarà mostrato per la prima volta in copia unica e nella sua dimensione definitiva di oltre 8m.

Un'immagine di Impossible Naples © Marco Maraviglia
La mostra avrà luogo al Pan – Palazzo delle Arti Napoli durante l’inverno 2016. Non sarà una tradizionale esposizione fotografica ma un grande happening partecipativo che vedrà coinvolti tutti i visitatori e con in palio una delle opere esposte. Saranno esposte undici immagini di vari formati e i visitatori, per tutta la durata dell’evento, avranno la possibilità di compilare una scheda con le riproduzioni delle immagini in mostra e su cui scrivere i “pezzi” di Napoli che riconosceranno. La scheda sarà poi inserita in un’urna presente in sala. 

Tutti i partecipanti saranno invitati al finissage per la proclamazione del vincitore: chi avrà dato più risposte esatte.
Cosa vincerà? Una delle opere esposte a sua scelta (tranne Metamorfosi Reloaded) che gli sarà consegnata subito, con allegato certificato di autenticità e foto-ricordo con l’autore. 

L'ingresso e la partecipazione alla mostra-happening saranno gratuiti. 

Dal 10 giugno tutti possono partecipare alla raccolta fondi direttamente su Eppela.it donando da un minimo di 5 euro in poi, a fronte di ricompense anche intriganti. 
Con soli 5 euro infatti, il nome del donatore sarà inciso nell’elenco dei ringraziamenti su una targa che sarà esposta durante la stessa mostra. 
Donando di più si avrà diritto a ricompense più “importanti” come, ad esempio, il catalogo della mostra firmato dall’autore e con il nome del donatore stampato all’interno in una pagina dedicata. E via via più su, come le donazioni di 400 euro che danno diritto a una copia firmata e numerata del panorama di Napoli più lungo del mondo (Metamorfosi Reloaded) in formato ridotto (275x20cm) e alla diffusione del logo (se il donatore è un’azienda) su tutta la comunicazione dell’evento compreso sulla IV di copertina del catalogo.

LINK AL PROGETTO
SLIDE DI PRESENTAZIONE
SITO WEB
PAGINA FACEBOOK
RASSEGNA STAMPA
INSTAGRAM: 
#ImpossibleNaplesProject


SOSTENITORI MORALI
Touring Club Italiano - Corpo Consolare della Campania
Videometro Network
Arkeda
Il Giornale del Turismo
Fulltravel
A&P
Timelight open art
La Maison du Tango
Realty servizi immobiliari


venerdì 3 giugno 2016

Monica Memoli: Mari e Muri in mostra

I Mari e Muri di Monica Memoli. Le immagini del respiro di Procida in mostra da Timelight open art a Napoli.

Tutti quelli che hanno casa o barca a Procida, conoscono Monica Memoli.
Monica è l'amica di tutti, anche della stessa Procida il cui carattere genuino dell'isola, lontana dai tradizionali stereotipi turistici, elitari, spritziani e movidiani, vive in simbiosi con quello di questa donna-green.

Monica respira il luogo da lei più amato cogliendone segni, geometrie irregolari tipiche dell'isola, colori, texture, con quell'armonia tipica dell'amante che va oltre l'accondiscendenza. Lei prende per rendere.
Restituendoci dettagli silenziosi ma ricchi di un immaginario che spesso passa inosservato e che sono proprio quelli che rendono l'atmosfera dell'isola.

Perché Procida non è solo la bella vista della Corricella dall'alto o i colli d'oca che sostengono le scale delle case dei pescatori o le reti ammassate di questi sormontate da gatti randagi che attendono lo scarico delle cassette di alici sulle banchine. Procida non è solo la processione del giovedì santo.
Procida è minimalista, fatta di parole disegnate tra giochi di colori del mare e chiaroscuri mediterranei.
Grafiche di Mari e Muri.

Vernissage
3 giugno Ore 19.00

Dove
Timelight open art
via Bellini, 42 - Napoli

Quando
Dal 3 al 9 giugno

martedì 8 marzo 2016

Ma fotografo a chi? "Photografer", prego!

Chi è fotografo? Semplice, ce lo dicono i vocabolari: chi scatta foto per diletto o per professione.


Non chiedetemi se sono un fotografo, io mi credo un pianista di bordello” è il titolo di un mio taccuino che raccoglieva un po’ di esperienze da me vissute fino al 2008 ma impaginato solo nel 2010. Un titolo che faceva il verso a quello ben più noto “Non dite a mia madre che sono un pubblicitario, lei mi crede un pianista di bordello” di Jacques Séguéla, uno dei Maestri della pubblicità francese degli anni ’70.

Photografer o photographer?
Non mi sono mai sentito fotografo o, meglio, non mi sono mai sentito riconosciuto e tutelato come fotografo professionista. Avere qualche competenza da autodidatta, qualche titolo professionale o di studio, qualche concorso fotografico vinto o con menzioni d'onore, qualche mostra e una Partita IVA non mi è mai bastato. Non mi sono mai bastate l’esperienza ormai trentennale o le pubblicazioni regolarmente fatturate agli editori o a qualche agenzia pubblicitaria per essere riconosciuto fotografo nella stessa misura di come è riconosciuto un dentista o un avvocato o un ingegnere.

Mai nessun albo dei fotografi è stato istituito come quello degli architetti o dei notai ecc. ecc.
La qualifica "legale" di fotografo professionista non esiste. E allora siamo tutti fotografi. Che ci piaccia o no.

Ed oggi capita di ritrovarmi davanti qualche rampante instagrammer superfollowerizzato che con grinta gratuita commenta una mia foto senza che sappia nulla di “espressionismo fotografico” e di manipolazioni “volutamente indesiderate”. E non ne ha colpa. Perché è un certo andazzo culturale che sta formando le nuove leve di aspiranti fotografi. Parlo di quelli che non conoscono Feininger, Flusser, Benjamin, Gombrich, Aristotele, Ogilvy, il Rinascimento e l'Impressionismo… ma che riescono almeno a citare Bresson non prima di aver scritto “photografer” (per dire forse che sono fotografi di ferro?) sul proprio profilo di un social. I più geniali? Quelli che si inventano una propria citazione tipo “osservo come un bambino per cogliere l’attimo fuggente. Buona luce”. E giù di lì.

Quelli che per loro la stampa fotografica è solo con plotter “fineart” senza sapere che possono stampare anche su carta Kodak o Fuji col metodo tradizionale chimico.
Quelli che sanno tutto degli ultimi modelli Canon e Nikon ma che non sanno bilanciare il bianco in manuale.
Quelli che saturano o desaturano, che accadierreizzano senza sapere che solo in casi eccezionali un giornale pubblicherebbe quelle immagini.
Quelli che lavorano il jpeg in Camera Raw perché tanto “fa lo stesso che lavorare il RAW”.
Quelli che partecipano ai concorsi fotografici pensando che vincerli significhi diventare fotografi e quelli che partecipano ai concorsi di fotogiornalismo con immagini preparate come still-life o taroccate all’inverosimile.
Quelli che non sanno a cosa serve “avvertimento gamma”.
Quelli che si lamentano che una loro foto è stata rubata da un giornale e non sanno come farsi pagare per l’utilizzo.
Ecc. ecc. ecc….

Ma, tutto sommato, sia bene inteso, sono tutti fotografi. Chi scatta fotografie è fotografo.
Forse anche io!

Tra qualche mese chi avrà seguito il corso di fotografia online col MOMA forse si farà una bella copertina sul proprio profilo Facebook inserendoci qualcosa tipo “MOMA's group of study”.
Del resto chi è Adobe certified lo dice e scrive.
Del resto chi ha spedito (gratis) una propria foto a un museo, lo dice e scrive nel proprio curriculum, senza specificare il “gratis” ovviamente.
Del resto chi ha esposto in una mostra a Parigi o a New York lo dice e scrive, tanto non tutti sanno che il Bradbick di Manhattan è un posto di merda dove si mangia kebab liofilizzato o forse non esiste nemmeno.

Tutto lecito. Tutto utile a consacrare fotografo anche chi si allestisce un wedding-portfolio con immagini trovate in rete. Perché tanto, chi è che va a fare le pulci?

È tutto lecito perché non esiste l'Albo dei Fotografi anche se a mio parere dovrebbe essere istituito “per difendere l’incolumità e gli interessi della collettività” visto l’uso pericolosamente bufalesco e lerciano (*) o strumentalizzante che a volte viene fatto di certe immagini.

Non esiste un solo finanziere che chieda un rendiconto delle fatture per ogni immagine pubblicata in un giornale all’editore, ma così, solo per sputtanare il traffico delle foto gratis e combattere il fenomeno della pirateria in fotografia. Almeno qualche photographer porterebbe una pagnotta intera a casa e non mangiucchiata dai vari "photografer".

Ma tutto è lecito e, che ci piaccia o no, siamo tutti fotografi. Anzi, “photografer”!


(*) lerciano: neologismo dell'autore del testo che indica qualcosa di paradossale, bufala, (in)verosimile; da Lercio.it, testata di satira online.

lunedì 1 febbraio 2016

Emoticografie. Un possibile scenario della fotografia editoriale.

Sovraproduzione di immagini, la crisi editoriale, smartphone, social network, stanno trasformando il modo di fruire le immagini influenzando le scelte editoriali?

Fotografie condivise, sostenute dai likers della rete, individui che scorrono centinaia di immagini al giorno sui social. Si soffermano su quelle più dirette, bizzarre, emozionali, senza badare alla qualità tecnica di quelle immagini. Se sgranate, mosse, male inquadrate, troppo gialle o troppo blu è meglio. Anzi, preferiscono quelle col “filtro”, instagrammate, lomizzate anche se non hanno mai visto una Lomo in vita loro.

Sono le emoticografie. Immagini emozionali che concedono la condivisione di un istante, intimo, privato. Basta lanciarle con l’hashtag giusto per farle trovare nello stesso attimo in cui esso si compie.

#photooftheday, #likeforlike, #100likeforyou… una volta bastava inserire nelle keywords della description di un sito web la parola “sex” per farsi trovare anche se trattavi sturalavandini, poi i tipi di Google capirono che si sballavano le indicizzazioni e ottimizzarono gli algoritmi di crawler, spider e dintorni e il giochetto non funzionò più.

Ma mi chiedo se possiamo intendere “emoticografie” anche quelle immagini che sì, non hanno un valore tecnico, creativo, compositivo che sarebbe alla portata di qualsiasi bravo fotoamatore, ma immagini che raggiungono una loro popolarità solo perché scattate “da”.

Quanto conta l’emozionalità della storia di Vivian Maier rispetto all’effettiva bellezza delle sue immagini?
L’attrice Sylva Koscina aveva talento come fotografa? E, se sì, quanti avrebbero visto le sue foto se non fosse stata Sylva Koscina?
Quanto conta la popolarità di Wim Wenders regista quando osserviamo le sue foto? La componente emozionale del “nome” influisce sulla popolarità delle sue immagini?
È più apprezzabile come fotografo Wim Wenders o Stanley Kubrick prima che diventasse regista?

In alcuni colloqui di lavoro ti chiedono quanti followers hai; fa curriculum il numero di condivisioni di un tuo post lanciato su Twitter e se è stato citato da Gazebo perché ciò dimostrerebbe le tue capacità comunicative, il tuo carisma e non importa la qualità del contenuto del tuo post ma l’immediatezza del messaggio e quindi la sua la viralità. Se ti hanno letto diecimila persone hai sicuramente le doti per farti seguire dai dipendenti o dai clienti di di quell’azienda che sta per assumerti. Follower, mica bruscolini.

Un selfie di Belen Rodriguez (fonte)
Un selfie di Belen su Instagram supera i cinquantamila like in poche ore. Gianni Morandi invece funziona di più su Facebook sfondando i trentamila like sulla sua pagina con una fotina della sua vita privata. Personaggi che sono garanzie per lo show business. Trattasi di grandi promesse per gli incassi pubblicitari se gli si affida una trasmissione in TV o se si mettono sulla copertina di un magazine. Perché la vita, certa vita, si misura in materiale umano e termini di profitto.

Ma immaginiamo un attimo uno scenario editoriale possibilistico che si potrebbe verificare e che per certi versi già è stato sperimentato.
I casi di Giuliano Ferrara e Concita De Gregorio sono solo la punta dell’iceberg che probabilmente non resteranno isolati.

Noti giornalisti entrambi che hanno sempre e solo scritto testi e che decidono di scattare qualche foto con lo smartphone o con una bridge, l’uno a Parigi dopo la strage al Bataclan del 13 novembre, l’altra è una recidiva.

Casi creati forse dal marketing dell’informazione giornalistica: giocare sul nome del giornalista creando una provocazione fatta di immagini in stile amatoriale scattate dalla “firma” stessa. E il gioco riesce perché il popolo della rete non aspetta altro che si accendano le luci sul ring, vedere i gladiatori (i fotografi professionisti e quelli improvvisati sia pur giornalisti noti) lottare per un’etica della fotografia che diventa sempre più espansa, fluida. Una sorta di blur-photography, fotografia inconsistente, che paradossalmente è più “cliccata” di una fotografia “a contenuto certo”.

Sono precedenti che fanno pensare.
La fotografia diventa spettacolo e gli editori, specie del cartaceo, non credo che si lasceranno scappar via questa opportunità.

I picture editor (ma esistono ancora?) dell’immediato domani saranno molto probabilmente i likers di cui parlavo all’inizio. Spulceranno la rete a caccia di immagini supercliccate, ultrafollowerizzate dove la qualità passerà in secondo piano perché sarà la loro viralità il punto di forza.

Immaginiamo… Un famoso magazine nazionale che pubblica servizi solo con immagini emozionali, selfie di personaggi pubblici… emoticofotografie, spesso rubacchiate da Instagram, da Facebook, da Twitter…
È possibile? A me sembra che stia già accadendo.


© Marco Maraviglia - tutti i diritti riservati




lunedì 18 gennaio 2016

L'illuminazione dei monumenti: il Chiostro di Santa Chiara a Napoli

Un post su Facebook di Bruno Fermariello, artista partenopeo, ha sollevato alcuni dubbi sul restauro del Chiostro di Santa Chiara eseguito durante gli anni '90.
Dopo un sopralluogo della storica dell'arte Sarah Galmuzzi eccone una sintesi qui.

Voglio ora parlarvi nello specifico dell'aspetto riguardante l'illuminazione del Chiostro.
In passato Photo Polis ha già parlato dell'importanza di figure professionali per il miglioramento delle città e come ad esempio scenografi, direttori della fotografia o anche fotografi potrebbero dare un loro aiuto affinché fotograficamente il lato urbanistico e monumentale possa esaltarne maggiormente le bellezze.


Luce al Chiostro di Santa Chiara

Su tutto il perimetro maiolicato adiacente al porticato vi è un’illuminazione occultata sotto un profilato di metallo che, seppur ben mimetizzato con il piperno che sovrasta le maioliche, presenta alcune criticità:


Fibra ottica o led?
Tabella tecnica dell'illuminazione
Una targa all’inizio del percorso che enuncia le specifiche tecniche di illuminazione, parla di 140 metri di fibra ottica inserita in canaline con fori da 0,80cm per far passare la luce (v. foto).
Mi chiedo se non fosse stato più sensato avere una fibra ottica più debole di intensità evitando la forellatura della canalina o utilizzare direttamente un’illuminazione a led.


Intensità della luce
Intensità di luci e temperatura cromatica: NO!!
Tale luce predomina in maniera troppo intensa rispetto agli altri punti luce che illuminano le volte dei portici del chiostro. Volendola dire in gergo: è una luce che spara, non crea una certa omogeneità con il resto dell’illuminazione.


Temperatura cromatica

La temperatura cromatica della fibra ottica disposta sul perimetro maiolicato è diversa da quella dei faretti che illuminano il resto del chiostro.

C’è un’incoerenza sgradevole tra la luce fredda della fibra ottica rispetto ai faretti che sono invece a luce calda.


Luce a scalare
La luce installata, partendo dall’alto, “brucia” la parte superiore del maiolicato dissolvendosi verso il basso.


La luce degrada dall'alto verso il basso
Colori e disegni penalizzati
Essendo tale luce disposta in maniera radente, non esalta i colori e i disegni del maiolicato, ma evidenzia, accentuandone le ombre, il rilievo dei punti scorticati e delle fughe delle piastrelle.







lunedì 11 gennaio 2016

Antonello da Messina: un Ritratto d’uomo per la fotografia

Ritratto d'uomo di Antonello da Messina, un dipinto che a Napoli diventa oggetto di studio fotografico per le sue particolari caratteristiche con performance annessa


Palazzo Zevallos di Stigliano, Napoli 10 gennaio. Ore 10.45 circa – Sono stato una quindicina di minuti a spulciare con gli occhi Ritratto d’uomo, col naso sul vetro della teca che lo isolava dal pubblico.
Un ambiente oscuro e riservato per un dipinto del 1476 ma egregiamente illuminato evidenziandone tutti i dettagli e senza che vi fossero riflessi che ne inficiassero la visione nonostante fosse “transennato” dalla teca.
Dopo quei quindici minuti, nel girarmi per andare via, noto che nel frattempo si era fatta una fila di persone dietro di me che attendeva pazientemente che mi spostassi. Persone prudenti nel non disturbarmi, nel non lamentarsi del fatto che avessi monopolizzato la visione di questo “giocondo”, immaginando probabilmente fossi uno psicopatico da non provocare.

Ritratto d'uomo di Antonello da Messina
fonte Artslife.com
Quindici minuti ben spesi della mia vita e condivido con voi alcune osservazioni personali:

Il nero sul nero

Grande la capacità dell’artista di essere riuscito a dare visibilità alla forma del copricapo nero del soggetto ritratto nonostante il fondo fosse ugualmente nero. Le riproduzioni del dipinto che vediamo online o stampate su cartaceo non offrono sempre la resa di tale stacco.


L’imperfezione umana

Un bitorzolino cutaneo sulla fronte che caratterizza il personaggio. È reale. Esisteva. C’era ed è stato dipinto. Niente Photoshop ante litteram.


Sopracciglia

Se volessimo dirlo in termini di Camera Raw, una forte chiarezza evidenzia i peli delle sopracciglia, sapientemente brizzolate, divinamente incarnate nella pelle.


Occhi

Professionale, come un maestro di fotografia di still-life, Antonello da Messina appunta un leggerissimo riflesso di luce nell’iride degli occhi. Fotograficamente è possibile ma non tutti ci riescono.
Sulla sclera si intravedono venuzze rosse rendendo più realistico il tutto.


Collo

Nella zona del collo in ombra vi sono due segni che potrebbero sembrare dovuti all'età ma uno in particolare (quello superiore) sembra una cicatrice, come se il soggetto ritratto fosse stato scippato di una catenina.
Da notare inoltre come nella stessa zona d’ombra sia evidente l’alone di colore rosso dovuto al riflesso di luce della tunica. Caratteristica tecnica pittorica sviluppata ampiamente poi solo dopo circa quattro secoli con l’Impressionismo.


Texture

Nonostante il reticolato del dipinto dovuto al tempo trascorso, si intravedono in modo realistico i dettagli della pelle, le linee sottilissime delle rughe sulle palpebre, intorno agli occhi e alla bocca, sull’attaccatura dell’orecchio.
Una roba dovuta grazie alla tecnica della pittura lenticolare fiamminga: strati trasparenti di nuove miscele di colore, all’epoca sperimentate, che consentivano di precisare i dettagli.


Una barba ben fatta

Guance quasi come se avesse fatto una elettro-depilazione con una successiva passata di fondotinta pur lasciando il grugno con alone bruno, quasi a voler marcare comunque una componente virile del soggetto.


Il colletto bianco.


Una peluria vibrante sul bordo del colletto a girocollo consente di comprenderne il materiale di tipo garzato del tessuto.


Sguardo

L’arcata sopraccigliare sinistra è leggermente rialzata, la palpebra destra lievemente abbassata, labbra serrate ma con accenno di sorriso. Un’espressione accattivante, seducente, maliziosa checché si dicesse in rete, “un’espressione di orgoglio e sfida”.


LA FOTOGRAFIA

Una tavola senza dubbio da studiare in un buon corso di fotografia per il virtuosismo della luce tipica della pittura fiamminga. Ma anche per riuscire a capire come evitare l’eccesso dei riflessi di un bank negli occhi. Come dosare la postproduzione in Camera Raw e col Photoshop: dove intervenire con la chiarezza e con che intensità per far emergere certi dettagli, fino a che punto utilizzare la gamma dei skin-brushes per turare i pori della pelle, porsi problemi etici di fotoritocco e tante altre belle cose.

Per chi non lo ha visto eccone una riproduzione. Purtroppo non è come vederlo da vicino.


LA PERFORMANCE

Domenica 10 Gennaio a Palazzo Zevallos di Stigliano (Napoli) è stata inaugurata la mostra “Ri-tratti, la fotografia incontra Antonello da Messina” a cura di Mario Laporta per Controluce e che sarà visitabile fino al 14 febbraio.

Nella collettiva sono stati esposti 25 ritratti, tra gli oltre 100 realizzati durante gli shooting fotografici tenuti a Palazzo Zevallos dagli autori/fotografi Francesco Zizola, Cesare Accetta, Paolo Ranzani, Daniele Ratti e Ugo Pons Salabelle.

Cinque fotografi che si sono alternati in cinque date diverse, nel corso della mostra del dipinto (che nel frattempo è verso il viaggio di ritorno a Torino a Palazzo Madama), e che hanno emulato, reinterpretato, simulato, immaginato il Ritratto d’uomo in base alle loro esperienze professionali.