martedì 8 marzo 2016

Ma fotografo a chi? "Photografer", prego!

Chi è fotografo? Semplice, ce lo dicono i vocabolari: chi scatta foto per diletto o per professione.


Non chiedetemi se sono un fotografo, io mi credo un pianista di bordello” è il titolo di un mio taccuino che raccoglieva un po’ di esperienze da me vissute fino al 2008 ma impaginato solo nel 2010. Un titolo che faceva il verso a quello ben più noto “Non dite a mia madre che sono un pubblicitario, lei mi crede un pianista di bordello” di Jacques Séguéla, uno dei Maestri della pubblicità francese degli anni ’70.

Photografer o photographer?
Non mi sono mai sentito fotografo o, meglio, non mi sono mai sentito riconosciuto e tutelato come fotografo professionista. Avere qualche competenza da autodidatta, qualche titolo professionale o di studio, qualche concorso fotografico vinto o con menzioni d'onore, qualche mostra e una Partita IVA non mi è mai bastato. Non mi sono mai bastate l’esperienza ormai trentennale o le pubblicazioni regolarmente fatturate agli editori o a qualche agenzia pubblicitaria per essere riconosciuto fotografo nella stessa misura di come è riconosciuto un dentista o un avvocato o un ingegnere.

Mai nessun albo dei fotografi è stato istituito come quello degli architetti o dei notai ecc. ecc.
La qualifica "legale" di fotografo professionista non esiste. E allora siamo tutti fotografi. Che ci piaccia o no.

Ed oggi capita di ritrovarmi davanti qualche rampante instagrammer superfollowerizzato che con grinta gratuita commenta una mia foto senza che sappia nulla di “espressionismo fotografico” e di manipolazioni “volutamente indesiderate”. E non ne ha colpa. Perché è un certo andazzo culturale che sta formando le nuove leve di aspiranti fotografi. Parlo di quelli che non conoscono Feininger, Flusser, Benjamin, Gombrich, Aristotele, Ogilvy, il Rinascimento e l'Impressionismo… ma che riescono almeno a citare Bresson non prima di aver scritto “photografer” (per dire forse che sono fotografi di ferro?) sul proprio profilo di un social. I più geniali? Quelli che si inventano una propria citazione tipo “osservo come un bambino per cogliere l’attimo fuggente. Buona luce”. E giù di lì.

Quelli che per loro la stampa fotografica è solo con plotter “fineart” senza sapere che possono stampare anche su carta Kodak o Fuji col metodo tradizionale chimico.
Quelli che sanno tutto degli ultimi modelli Canon e Nikon ma che non sanno bilanciare il bianco in manuale.
Quelli che saturano o desaturano, che accadierreizzano senza sapere che solo in casi eccezionali un giornale pubblicherebbe quelle immagini.
Quelli che lavorano il jpeg in Camera Raw perché tanto “fa lo stesso che lavorare il RAW”.
Quelli che partecipano ai concorsi fotografici pensando che vincerli significhi diventare fotografi e quelli che partecipano ai concorsi di fotogiornalismo con immagini preparate come still-life o taroccate all’inverosimile.
Quelli che non sanno a cosa serve “avvertimento gamma”.
Quelli che si lamentano che una loro foto è stata rubata da un giornale e non sanno come farsi pagare per l’utilizzo.
Ecc. ecc. ecc….

Ma, tutto sommato, sia bene inteso, sono tutti fotografi. Chi scatta fotografie è fotografo.
Forse anche io!

Tra qualche mese chi avrà seguito il corso di fotografia online col MOMA forse si farà una bella copertina sul proprio profilo Facebook inserendoci qualcosa tipo “MOMA's group of study”.
Del resto chi è Adobe certified lo dice e scrive.
Del resto chi ha spedito (gratis) una propria foto a un museo, lo dice e scrive nel proprio curriculum, senza specificare il “gratis” ovviamente.
Del resto chi ha esposto in una mostra a Parigi o a New York lo dice e scrive, tanto non tutti sanno che il Bradbick di Manhattan è un posto di merda dove si mangia kebab liofilizzato o forse non esiste nemmeno.

Tutto lecito. Tutto utile a consacrare fotografo anche chi si allestisce un wedding-portfolio con immagini trovate in rete. Perché tanto, chi è che va a fare le pulci?

È tutto lecito perché non esiste l'Albo dei Fotografi anche se a mio parere dovrebbe essere istituito “per difendere l’incolumità e gli interessi della collettività” visto l’uso pericolosamente bufalesco e lerciano (*) o strumentalizzante che a volte viene fatto di certe immagini.

Non esiste un solo finanziere che chieda un rendiconto delle fatture per ogni immagine pubblicata in un giornale all’editore, ma così, solo per sputtanare il traffico delle foto gratis e combattere il fenomeno della pirateria in fotografia. Almeno qualche photographer porterebbe una pagnotta intera a casa e non mangiucchiata dai vari "photografer".

Ma tutto è lecito e, che ci piaccia o no, siamo tutti fotografi. Anzi, “photografer”!


(*) lerciano: neologismo dell'autore del testo che indica qualcosa di paradossale, bufala, (in)verosimile; da Lercio.it, testata di satira online.

1 commento:

Federico Righi ha detto...

Carissimo Marco, anche io fotografo e il pH l'ho sempre inteso come la scala di misura dell'acidità o della basicità di una soluzione acquosa. Mai e poi mai mi sognerei di autoproclamarmi fotografo, be tanto meno"PHOTOGRAPHER". Tutto questo è frutto del nostro tempo, dove le rivoluzioni avvengono più rapidamente e quasi, a volte, senza che ce ne accorgiamo. Il fenomeno che tu enunci non è altro che l'invasione dei nuovi barbari. Tieni presente che il termine per me non è dispregiativo, si tratta dell'intrusione del radicalmente nuovo, come forza della mutazione e come metamorfosi ultima dell'intelligenza. Infatti i Barbari non mancano di intelligenza, essi credono di costruire un mondo migliore, coltivando anche una certa idea di bellezza ma non disprezzando il passato. Hanno basi umanistico-scientifica ma non utilizzano strumenti che vengono dalla tradizione; fondano il loro ragionare su principia affatto nuovi che alle volte ottengono perfino l'effetto collaterale di distruggere interi patrimoni di sapere e di sensibilità che giacciono nel patrimonio condiviso dell'attuale civiltà.
Dunque il sistema di pensiero dei barbari sopprime il luogo del mito e della profondità. Non elimina il senso ma lo ridistribuisce su un campo aperto che solo per comodità definiamo ancora superficialità, ma che in realtà è una dimensione per cui non abbiamo ancora nome e comunque ha poco a che vedere con la superficialità intesa come limite.
Dunque i barbari sono tali rispetto ai valori che noi abbiamo interiorizzato e che intendiamo civiltà, almeno nei fatti essenziali.
Ogni identità ed ogni valore si salva dall'imbarbarimento non erigendo muraglie contro la mutazione, bensì operando all'interno di essa. Questo è il prezzo che si paga per un grande progresso.
Ecco, la mia idea, per dirla con parole di Baricco e Magris.
Dunque, a pare mio, bisogna storcere il naso, perché questo è la cartina di tornasole che ci avverte che qualcosa non procede nel verso che noi conosciamo e dobbiamo essere capaci di indicare strade virtuose affinché, i barbari, facciano tesoro delle ricchezze che provengono dalla storia.
Un caro saluto
Federico