mercoledì 23 maggio 2018

Dedicato ai giovani fotografi: contestualizzare le immagini e diritti

Da alcuni anni c’è l’usanza da parte di alcune testate giornalistiche di sottoporre agli autori di immagini una liberatoria che spesso può contenere clausole vessatorie che tendono ad azzerare i diritti fondamentali degli operatori dell’informazione visiva.

Dedicato ai fotografi e ai video-maker millenials…





Immagine ottenuta con sovrapposizione di due foto (sandwich)
La ricevuta di consegna di “ieri”

Fino a tutti gli anni ’90 quando un fotografo inviava immagini in visione a un giornale per valutarne l’eventuale pubblicazione, era dato per scontato che i diritti di riproduzione delle immagini fossero ceduti per una sola pubblicazione.

La cessione dei diritti d’uso era determinata essenzialmente in base alla loro destinazione d’uso (nome della testata, copertina, doppia pagina, interno medio…), al formato occupato nelle pagine e in base alla tiratura di stampa (in quante copie veniva stampato il giornale).

Eventuali ripubblicazioni necessitavano di un ulteriore compenso: i cosiddetti “ripubblicati”.

Tutto ciò, a scanso di equivoci, veniva comunque formalizzato facendo firmare una ricevuta di consegna al picture-editor.

Stesso discorso valeva per immagini di archivio cedute per destinazioni pubblicitarie: manifesti, inserzioni, brochure…



Case history

Nel 2008 una delle più grandi testate giornalistiche internazionali vide alcuni miei video di Parigi su Youtube e mi chiese se poteva utilizzarli previa mia firma su una liberatoria che mi avrebbero inviato.
Nella mailbox mi trovai un loro documento in cui chiedevano, tra l’altro:
  • l’utilizzo di spezzoni dei video per il loro canale Youtube
  • cessione dei diritti internazionali
  • diritti per qualsiasi destinazione d’uso compresi loro spot pubblicitari
  • possibilità di cedere a terzi parte del girato
  • liberatoria relativa alle persone (a me sconosciute) riprese nei video; cioè mi sarei dovuto accollare la responsabilità anche se una ragazza ritratta avrebbe fatto causa perché ripresa su un sottopasso della metro mentre le si alzava la gonna per il vento.
E, per di più, tutto gratis. Nemmeno la “gloria” del credit: non avrei mai potuto rivendicare la paternità del mio materiale in barba alla legge sul diritto d’autore.

Ovviamente dissi un NO secco.

Sempre nel 2008 stavo rifiutando di esporre in una personale a Madrid, presso l’Auditorium Nacional de Musica, perché non volevano riconoscere i “diritti di visione” delle immagini da esporre: alla fine accettarono.

Era una mostra che non mi interessava farla in quanto non avevo mano libera per gestirmela personalmente, i pannelli non non erano destinati alla vendita e quindi ne vedevo solo interessi di immagine per terzi. Non miei.

Può capitare che anche nel campo dell’arte gli artisti e quindi alcuni fotografi, o suoi eredi, siano fiscali pretendendo i diritti di utilizzo per la riproduzione dell’opera in libri specie se non si tratta di cataloghi. Ma questa è un’altra storia: quella delle release delle opere d’arte da consegnare insieme all’opera venduta.



Oggi?

Negli ultimi anni sto assistendo più volte a questa prassi delle liberatorie vessatorie da parte dei fruitori di immagini. Ci si trova in un labirinto di clausole che solo chi ha una buona conoscenza sui propri diritti autoriali riesce a districarsi: i millenials, quelli che in parte non sono cresciuti con la cultura del Diritto d’Autore hanno qualche difficoltà ritrovandosi non raramente soggetti ad equivoci di interpretazione del proprio lavoro una volta pubblicato.



Strumentalizzazione

Leggendo Un’autentica bugia di Michele Smargiassi ci si rende conto che nella storia della fotografia non sono rari i casi in cui un’immagine o un servizio fotografico siano riposizionati fuori contesto o addirittura taroccati, photoshoppati, croppati per cambiarne il senso.

Certa stampa sensazionalistica a volte non si fa scrupoli per creare fake-news che possano inficiare l’immagine di un politico, di una città, di un contesto sociale e ciò per rincorrere gli interessi di chi li fa mangiare.



Cosa fare

Chi realizza immagini fotografiche o video è bene che ricordi che è lui e lui soltanto l’autore di ciò che produce e deve sentirsi pienamente coinvolto sulla responsabilità relativa alla contestualizzazione del suo lavoro.

Ha il coltello dalla parte del manico e, qualsiasi liberatoria gli presentino, può e deve leggerla nei dettagli per capire a monte a cosa andrebbe incontro.

Fatto ciò il suggerimento non richiesto, ma gratuito, è quello di pretendere dal fruitore delle immagini cedute (non si vendono le immagini ma si cedono i diritti di utilizzo) di controfirmare la SUA liberatoria, un accordo in cui si specifichi l’obbligo di contestualizzarle per evitare appunto strumentalizzazioni e fake-news.



C’è chi dice no

Di fronte a una suddetta richiesta il cliente potrebbe rifiutare di accordarsi e in tal caso si rischierebbe di perdere un introito economico. Ma “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca” e quindi sarà il fotografo o il video-maker a decidere se il gioco vale la candela tralasciando il fattore rischio-sciacallaggio delle immagini da lui prodotte.



Il rapporto fiduciario

Bisogna però considerare anche che a volte “basta la parola”. Si ha a che fare con editori seri che non hanno bisogno di liberatorie e un breve colloquio con stretta di mano può funzionare meglio di mille clausole.

Perché un fotografo scafato e non uno alle prime armi, conosce bene la varietà umana e saprà sempre di chi fidarsi.

 © Marco Maraviglia