lunedì 18 maggio 2015

Il selfie sta ammazzando la fotografia?

Quali sono le condizioni che fanno rischiare la morte della fotografia?
Cosa intendiamo per morte della fotografia?

Estratto dell’incontro tenuto il 15 maggio 2015 in occasione del progetto “Fotografa la vita” (per)corso di fotografia sociale organizzato da La Città della Gioia Onlus.


Una volta si diceva autoscatto, o anche autoritratto

© Debora Barnaba
fotografa di autoritratti ed autoscatti
Il selfie è una pratica un po' narcisistica antica esistente dai tempi dell’invenzione dello specchio o anche da prima, quando ci si specchiava in un pozzo o in un lago. Ci si specchiava e la mente memorizzava, registrava il ritratto di sé stessi. La pellicola emulsionata consisteva in una manciata di neuroni che fissavano l’immagine nel nostro hard-disk biologico.
Nella pittura sono tanti i selfie. Da Leonardo da Vinci a Van Gogh, da Caravaggio a Frida Kahlo, da Picasso a Guttuso e via di seguito.

Risale al 1917 il primo autoritratto allo specchio, era di William Davis. Dato l’ingombro, le fotocamere all’epoca non potevano essere sostenute da una sola mano rivolgendo l’obiettivo verso sé stessi.

Poi col dispositivo dell’autoscatto tutto divenne più facile. Si inquadrava la scena tenendo poggiata la fotocamera sul treppiedi o anche su un mobile e via, più veloci della luce, ci si andava a sistemare nel campo inquadrato, a volte con amici e parenti per immortalare il momento storico della propria vita. Favolosi quegli anni ’60 in cui i selfie di Natale ostentavano un nascente benessere italiano dove non mancavano il panettone e la bottiglia del liquore alla moda sulla tavola circondata dall’intera famiglia.


Lo scatto flessibile

Le industrie hanno sempre cercato di soddisfare le esigenze dei consumatori e infatti furono realizzati gli scatti flessibili da avvitare sugli otturatori o sui pulsanti di scatto delle fotocamere. Qualcuno si costruì artigianalmente questi cavetti meccanici più lunghi di quelli che c’erano in commercio per poter meglio gestire gli autoritratti, per ottenere la possibilità di effettuare lo scatto nel momento esatto in cui si decide di realizzarlo anche a distanza di qualche metro.

Walter Bonatti, grande esploratore e fotogiornalista italiano corredava i propri articoli con immagini realizzate grazie a questo accessorio.
E poi Helmut Newton, grande fotografo di moda degli anni ’80 e ’90 di cui lessi su un vecchio numero di Progresso Fotografico che lasciava addirittura in mano alle sue modelle il pulsante dello scatto flessibile: uno specchio posto accanto alla fotocamera, la modella quando si sentiva al meglio nella sua impostazione corporea, click, scattava. Era la "macchina di Newton", una sperimentazione unica nel suo genere per quei tempi.

Insomma, selfie, autoscatti, autoritratti, scatti flessibili, specchi e laghetti non hanno mai inficiato sulla qualità della fotografia o sull’inquinamento ambientale visivo, anzi, a volte il selfie sembra che sia quasi un modo per valutare il livello di spontaneità e simpatia, il narcisismo ironico o la predisposizione alla socialità di una persona. Personaggi celebri compresi.

È qualcos’altro che compromette la buona produzione e fruizione della fotografia. Cercherò di individuarne qualcuno…


Fotografia ridondante

Sovrabbondanza di immagini che si riciclano nella sovrapproduzione di foto simili alle precedenti, le une e le altre non congelano le informazioni, non le mostrano, nascono assuefatte rendendosi immagini inutili perché non vengono facilmente ricordate in quanto l’una vale l’altra e le abbiamo sempre sott’occhio, sappiamo che stanno lì e quindi non vengono osservate con attenzione. Passano inosservate.

“Le foto che ci inondano sono recepite
come volantini spregevoli”
~ Vilém Flusser.

La sovrabbondanza di immagini si è generata col passaggio dall’analogico (fotografia su pellicola) alla fotografia digitale. Col risparmio dei costi di pellicole e relativi sviluppo e stampa dei fotogrammi.


Qualità della fotografia oggi

Decisamente, a fronte di una sovrabbondanza di produzione di immagini fotografiche generate dal boom del digitale, bisogna dire che non raramente i fotoamatori superano di gran lunga i fotografi professionisti che sono cresciuti con la pellicola.

Il controllo immediato dello scatto sul display, la postproduzione accessibile ormai a tutti e fruibile senza che ci sia necessariamente un "maestro" perché il web è una miniera di consigli sotto forma di tutorial, ha innalzato la qualità innanzitutto tecnica delle immagini. Ma poche sono memorizzabili, poche sono quelle che fanno soffermare l’occhio per qualche secondo in più, poche contengono informazioni.
Poche fissano i picchetti nella mente dell'osservatore veloce.


La fotografia utile

Una fotografia è utile se non deve essere spiegata, se comunica il suo contenuto almeno al destinatario finale. Se esiste.
Se è difficile comprenderla non è inutile ma complicata. Io non leggo libri in inglese o in spagnolo, ma libri italiani. Se ho bisogno dell'interprete per capire (didascalia, gallerista, flash-code, lo stesso autore...), preferisco che sia già sul luogo e non andarmelo a cercare.
Una foto è utile se posizionata nel contesto ideale. A volte può far “ascoltare” meglio il suo messaggio se posizionata fuori contesto, come una nota stonata che ci scuote: come quando in una fiera del mobile veniamo attratti dallo stand che col mobile non ha nulla a che fare.

Se esistono migliaia di immagini del Golfo di Napoli col Vesuvio, forse è inutile che ne scattiamo altre anche noi. Se capovolgiamo la foto in mezzo a tante altre simili, viene notata e probabilmente in molti si soffermeranno per discutere del perché sia sottosopra.
Una fotografia è utile se ha uno scopo documentativo: mostrare lo stato dei luoghi del territorio in determinati periodi storici, mostrare nuove evoluzioni (o involuzioni) sociali...
È utile se ha una sua collocazione finale e non rimane in un hard-disk; è utile se ha un contenuto-informativo, se ha il destinatario, se provoca una reazione.


Durata delle foto

Non tutti i cellulari di nuova generazione producono immagini con una risoluzione fotografica abbastanza alta da consentire poi la stampa in un formato che vada oltre il 7x10cm.
Le foto scattate con un telefono portatile sono destinate ad essere cancellate per fare spazio ai prossimi click o trasferite su un hard-disk senza badare poi tanto allo storage, all’archiviazione che consentirebbe dopo qualche tempo, il ritrovamento di “quella” foto tra le migliaia scattate.

Non esiste la durata di una foto digitale. Mi è capitato di ritrovarmi dei CD illeggibili sui quali erano caricate foto pochi mesi prima.
Una foto stampata, una lastra fotografica, una pellicola fotografica, in condizioni normali, si conserva più a lungo di un supporto digitale. Non sono poche le storie di amici e colleghi che mi raccontano di HD “saltati”.
Ogni supporto digitale non garantisce l’eternità a un file fatto di pixel.


Formati dei file immagine, sistemi operativi…

Per ogni file immagine c’è l’estensione Tiff, png, gif, pdf, jpg… Sappiamo che il JPEG è uno dei formati standard che consente di poter leggere le immagini digitali su qualsiasi tipo di computer a prescindere dalla casa che l’ha prodotto e dal sistema operativo che lo tiene in funzione. È gratis. Basta aver installato un qualsiasi lettore di immagini.

Anche Whatsapp era gratis. Anche la PEC, la posta certificata era gratis.
Sulla piattaforma Ning c’era la possibilità di realizzare gratuitamente un proprio social network.
Poi Whatsapp, PEC e Ning decisero che gli utenti dovevano pagare. Solo per citare alcuni esempi del "ti faccio vedere e toccare il giocattolo poi te lo tolgo e se lo rivuoi paghi".
Chi ci garantisce che il formato jpeg sia leggibile per sempre e non ci venga richiesto in futuro di pagare un tot per far funzionare un plug in affinché potremo continuare a vedere le nostre foto digitali?
Chi ci garantisce che il jpeg non cada in disuso aprendo le porte a nuovi formati?
Chi ci garantisce che i formati immagini non saranno tra qualche anno solo in RAW e quindi accessibili solo dietro l’acquisto di software dedicato?

Una foto non è veramente nostra se non ne possediamo la riproduzione analogica. Non possiamo possedere pixel, ma la materia sì.
È un po' come scegliere se lasciare nella mente il ricordo di un viaggio o se acquistare il souvenir che ci ricorda quel viaggio. Il cervello può dimenticare, l'oggetto resta.


L’obsolescenza programmata

La fotografia può essere ammazzata anche da decisioni liberiste, o scellerate che siano, delle case fabbricanti di hardware e software.
Un computer della Apple viene considerato “vintage” dopo qualche anno di vita (nonostante il design non sia cambiato rispetto ai modelli di nuova generazione) e quindi non riparabile da un centro assistenza autorizzato. La Apple ha probabilmente un concetto distorto del termine “vintage”. La parola onesta è obsoleto.

Rendere i prodotti obsoleti dopo pochi anni garantisce il profitto alle aziende ma è una strategia economicamente insostenibile per le nicchie più povere dei consumatori.
Se ho una reflex che utilizza memory card del tipo CompactFlash, chi mi garantisce che, se tra qualche anno perdessi tutte le schede di memoria, potrei acquistarne altre perché verrebbero ancora prodotte? E in caso negativo, a cosa mi servirà una reflex che non potrò più utilizzare? Sarò costretto a comprarne una nuova!


Il senso civico della memoria: il caso dell’Istituto Palizzi di Napoli

A che serve un archivio fotografico?
Chi è che non si rende conto dell’importanza del patrimonio archivistico di un’istituzione o di una famiglia?
Di cosa siamo fatti noi? L’esperienza, la storia, la memoria, quanto è importante per poter costruire un presente e un futuro migliori?

Il 15 maggio all’Istituto Statale Filippo Palizzi di Napoli alcuni docenti si accorgono che scatole contenenti lastre fotografiche e pellicole stavano in furgone pronte per essere mandate verso destinazione ignota.
Trattavasi di un inventario di centinaia di oggetti preziosi conservati al Museo Artistico Industriale dell'ex Istituto Statale d'arte. Quelle lastre al bromuro e sali d'argento furono commissionate ai primi del '900 e ritrovate negli anni '80. Servirono per ricatalogare e attribuire molte cose conservate nello stesso museo.

Sarebbe stato un danno storico-culturale perdere quel materiale e bisognerebbe capire cosa porta le persone a considerare con superficialità la conservazione delle informazioni storiche.

“Un popolo senza la conoscenza della loro storia passata,
origine e cultura è come un albero senza radici.”
~ Marcus Garvey


La bellezza e l’analfabetismo fotografico

Per guidare un’auto c’è bisogno di una patente.
Chiunque può invece usare una fotocamera e un PC.
Fotografia fa rima con democrazia.
Tutti possono fotografare e questo non è un problema.
È certa assenza dell’educazione visiva che, accompagnata al cattivo uso dello strumento fotografico che può fare danni.

Scuola di Atene di Raffaello Sanzio (1509-1511)
Senza cultura figurativa, senza conoscenze di estetica, senza l’interesse per certa pittura (personalmente consiglio sempre di osservare opere dal rinascimento all’impressionismo), senza l’osservazione dell’alta ingegneria architettonica della natura, si producono immagini “rumorose”, inutili, inquinanti in termini di impatto ambientale visivo. Immagini che per strane dinamiche di gradimento determinano dei trend che scavalcano ogni canone di bellezza.

La bellezza esiste e va rispettata. La bellezza ha delle regole per essere tale. L’armonia delle forme, il ritmo, il giusto dosaggio degli spazi, i pieni e i vuoti, colori e luci. La bellezza è una sinfonia che non si può generare gettando le note a casaccio sul pentagramma.
Se mangiamo una pietanza senza certi ingredienti non ci piace. Se cucinata con prodotti avariati ci becchiamo qualche crampo allo stomaco.

Se abbiamo la scrivania in disordine, non riusciamo a concentrarci. Il caos ci distrae. La mente esige ordine intorno a sé per raggiugere serenità e quindi funzionare.
Anche la foto di un cadavere va scattata con un suo ordine estetico per sortire un effetto visivo efficace sotto il profilo comunicativo.


© Marco Maraviglia; TUTTI I DIRITTI RISERVATI.
L'intervento è corredato di quaranta slide e comprende altri argomenti affini (byte inquinamento, storia del selfie, Antoni Gaudì, storage delle immagini...).
Chi è interessato ad organizzare un meeting sull'argomento può contattare l'autore.


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