lunedì 7 gennaio 2019

I curatori di mostre fotografiche a Napoli


Esplorazione nel mondo di alcuni curatori di mostre fotografiche a Napoli.

Di Marco Maraviglia



Curatore. Strana parola. Come se un artista fosse un malato da curare.
Il curatore di una mostra non misura la pressione e non somministra pasticche di integratori, ma si prende cura di alcuni o tutti gli aspetti di un’esposizione al pubblico del lavoro dell’artista o fotografo o autore o come preferite.

Dietro le migliori mostre aleggia la figura del curatore. A volte è un critico, alcuni sono giornalisti, altri esperti di comunicazione, c’è chi è docente di fotografia o di storia dell’arte. Altri hanno esperienze e know-how a 360.
A volte sono i fotografi stessi che hanno rispettabili capacità curatoriali…

Chiacchierando con alcuni tra i curatori più attivi della scena partenopea, sono sorte caratteristiche che vanno oltre quelle che possono essere intese tradizionalmente. Ci sono vari modi di concepire l’aspetto curatoriale.
Ad esempio Luca Sorbo, critico e docente di storia della fotografia dell’Accademia di BBAA di Napoli (co-curatore della mostra su Rodolfo Namias a Venezia e di numerosi progetti fotografici), tende a proporre un progetto a un gruppo di lavoro sul quale definisce le linee guida ma senza però andare ad intaccare l’aspetto tecnico-creativo della produzione.

Dettaglio sistemazione targhette didascaliche di una mostra a cura di Photo Polis  Ph. Filippo Tufano

Il curatore a volte proviene da studi umanistici, è conoscitore di storia della fotografia, dei suoi procedimenti tecnici e quindi della post-produzione e dei vari supporti di stampa, ha buone capacità manageriali e grandi capacità nel relazionarsi con l’artista in cui crede e con le istituzioni, con le aziende coinvolte, con i giornalisti, col pubblico e fino all’ultimo manovale dello staff di allestitori; è attento ai trend locali ed internazionali, intuitivo, un po’ psicologo, non segue solo la curatela del progetto ma entra in simbiosi con quello che diventa il suo alter ego (l’artista) riuscendo talvolta a vedere oltre ciò che egli non riesce a cogliere.
Personal trainer, coach, talent scout, pigmalione, road manager… insomma, si prende cura di una creatura da far crescere che non è l’artista, ma il suo progetto, anzi, per Diana Gianquitto è anche una bella soddisfazione quando un artista si sorprende leggendo un testo critico scritto per lui nel quale individua aspetti che stesso l’artista non aveva coscientizzato e “se hai padronanza delle lingue per poter dialogare a tu per tu e in estrema libertà operativa con gli artisti”, eviti filtri di eventuali interpreti che ostacolerebbero l’empatia.

Tutto ciò, più o meno, “contiene” il curatore.
Ma anche altro.

Per Adriana Rispoli la fotografia È arte contemporanea o almeno per tale va trattata. Lavora su progetti di mostre site-specific che possono talvolta trasmettere un potente messaggio sociale ed economico, oltre che artistico. Con Old Factory, New Capital (Raffaela Mariniello e Igor Grubic) e Capri B&B – Behind & Beyond (Raffaela Mariniello e Eugenio Tibaldi) si assiste a contaminazioni di fotografia, grafica e pittura in spazi non normalmente deputati all’arte. Nel 2006 al Museo di Capodimonte e con Eugenio Viola cura Very Important Portraits di David Lachapelle in cui si portano in parallelo immagini rinascimentali della ritrattistica di Tiziano con la produzione del fotografo.


David La Chapelle Installation view VIP very important portraits a cura di Adriana Rispoli ed Eugenio Viola


Anche Chiara Pirozzi tende a sviluppare progetti site-specific e concentra la sua attenzione su nuove produzioni. “Ogni singola opera porta con sé le sue esigenze. Non va trascurato l’apparato descrittivo ed esplicativo del progetto in mostra al fine di renderlo fruibile a pubblici diversi… Mi interessa che la ricerca sia realmente un’esigenza dell’autore e non un semplice pretesto... Realizzare una mostra è anche un'azione di investimento che un gallerista o qualcun altro sceglie di fare per svariate ragioni ed è un meccanismo che fa assumere valore all’opera. Per questo sconsiglio le mostre a pagamento: viene a cadere il principio dell'investimento su un valore artistico altrimenti realmente riconosciuto.”

Il fotografo Mario Laporta non si definisce curatore “…le curatele non sono il mio reddito… fregiarmi del ruolo di curatore sarebbe usurpare un titolo che molti meritano e di cui ho grande stima”, ma ha organizzato eventi fotografici che sono andati al di là della semplice esposizione come Ri-Tratti, la fotografia interpreta Antonello da Messina (2015) e Napoli/Innovazione Tecnologica – La fotografia si confronta con i temi di Salvatore Fergola (2017) dove le immagini da esporre venivano preventivamente ricreate ex-novo in una sorta di performance realizzata con i contributi di fotografi del panorama (inter)nazionale.

Roberta Fuorvia Ph. Marco Maraviglia

Anche Roberta Fuorvia ha una visione abbastanza dinamica dell’esposizione, bada che l’allestimento sia creativo e stimolante; per lei che ha curato, tra gli altri, Ludovica Bastianini in occasione del Festival Circulations (Parigi) e Valeria Laureano grazie all’Istituto Italiano di Cultura di San Paolo (Brasile), lo spazio espositivo deve essere utilizzato a 360° magari avvalendosi di installazioni audio e video che amplifichino la percezione e generando una sorta di sforzo fisico dello spettatore affinché cerchi di approfondire l’osservazione di quanto esposto. È una cacciatrice di talenti che intercetta tra i suoi allievi o anche con determinati hashtag su Instagram.
Restando in tema di mostre fotografiche “interattive”, non si può non citare Impossible Naples Project (di cui sono l’autore), le cui esposizioni sono sempre basate su performance partecipative del pubblico e intese come veri e propri happening curati dall’Associazione Photo Polis.

Gli addetti ai lavori convengono quasi tutti sul fatto che Napoli ha una grande quantità e qualità di realtà creative che rischiano però di implodere se non ci si attrezza in tempo, dato il boom turistico e culturale che si sta avendo grazie anche al traino conseguente a una virale offerta innovativa dei direttori dei musei.
Per sostenere una possibile internazionalizzazione “… occorrerebbero uffici stampa istituzionali più aperti verso l’estero… i materiali informativi dovrebbero uscire fuori dai confini nazionali… si dovrebbe essere più presenti in fiere internazionali… creare convenzioni per far risiedere gli artisti in occasione degli eventi…” suggerisce Simona Perchiazzi che portò H. Cartier Bresson a Napoli nel 2016.

“Riuscire a proporre una buona offerta culturale dipende non poco da come vengono fatti confluire i fondi pubblici e questo dipende molto dal livello di conoscenza del patrimonio artistico di una città da parte delle istituzioni stesse”, racconta Alessandra Troncone ricercatrice per il MADRE e che cura mostre dove la fotografia è uno dei possibili linguaggi scelti dagli artisti con cui lavorare e aggiunge, “le residenze d’artista sono grandi opportunità sulle quali investire in quanto gli artisti hanno la capacità di rivelare nuove prospettive del territorio valorizzandolo”.

Valentina Rippa aggiunge che ci sono spazi espositivi meravigliosi, si riesce ad interagire facilmente con il MiBACT ed altre istituzioni nazionali (se si ha un buon progetto), ma conferma che non avverte ancora una certa sprovincializzazione dello scenario culturale partenopeo per mancanza di coordinamento e condivisione della programmazione. Problema sul quale convengono non pochi ricordando il paradosso tra l’offerta e la mancanza di sostegno istituzionale se non si è addentro certi meccanismi e che lo si trova poi inaspettatamente nella provincia. Ma, a detta di Chiara Reale, a volte può solo trattarsi di una diffidenza iniziale da parte degli interlocutori che poi nel tempo, grazie anche alle proprie capacità relazionali, possono poi rivelarsi disponibili nel porre soluzioni a qualche inghippo.

Chiara Reale Ph. Marco Maraviglia

Giuliano Sergio che inaugurò La Casa della Fotografia in Villa Pignatelli (fortemente voluta da Graziella Lonardi) con una mostra su Ugo Mulas, pone l’accento sulla capacità di relazionarsi con galleristi, collezionisti, direttori dei musei e con gli eredi dei fotografi non più viventi, per ottenere i prestiti delle opere. Capita che il collezionista è disponibilissimo al prestito, consapevole che un’esposizione prestigiosa e la sua pubblicazione in catalogo, non fa che aumentare di valore l’opera, mentre può capitare che i familiari siano più fiscali e timorosi.

Si avverte una forte esigenza per un momento di discussione sugli stati generali della fotografia a Napoli affinché si possano mettere a sistema le varie realtà della città ma purtroppo, al momento, nessuno se ne prende carico e forse per una mancanza culturale del senso di aggregazione.
Il fotografo Pino Miraglia, nel 2013 organizzò, come operazione aggregante, l’anteprima di quel che sarebbe stato il Festival Internazionale dell’Immagine Contemporanea e della Fotografia d’Autore (in simultanea in spazi istituzionali come il MAV, il Museo di Capodimonte, Villa Pignatelli, il PAN) che voleva essere “un percorso di crescita e di analisi sulle potenzialità artistiche e narrative della fotografia e dell’immagine contemporanea…”.
La città tuttora non sembra ancora pronta ad abbracciare questo genere di sforzi a respiro internazionale e capita infatti che anche Salvatore Sparavigna, altro fotografo che cavalca “l’exhibition self-made”, trovi maggiore facilità ad interloquire ed esporre all’estero come per la sua mostra Le pose del caffè a… New York.
In altre regioni, mi racconta il fotografo Salvatore Di Vilio, c’è un senso di aggregazione e una cultura di merito che uniscono tutte le forze presenti nella provincia; “… qui se sei campano ma non sei nato a Napoli esponi in Cina, in Polonia, ti dedicano retrospettive in un castello a Reggio Emilia… ma sei tagliato fuori dal circuito partenopeo”.

Il “fai da te” non è sconsigliato del tutto e ci sono infatti casi di mostre messe in piedi da fotografi scafati ed eclettici come Toty Ruggieri e il già citato Salvatore Sparavigna che per le sue ultime mostre ha aggiunto un tocco scenografico all’allestimento come ad esempio per Se la mia strada fosse stata un’altra? (operazione di sensibilizzazione sociale sul mondo dei clochard) in cui abbigliamento malandato, buste di plastica, cartoni e valigie disposte nella sala, provocavano inquietitudine e spunto di riflessione.

Marina Guida sostiene che occorre individuare il mondo intorno più adatto al fotografo introducendolo “nei luoghi giusti al momento giusto con le professionalità giuste… Curare la sua evoluzione professionale che va oltre il periodo della mostra”. Perché un buon lavoro consiste nel dare anche un seguito dopo lo spazio temporale dell’esposizione. Concorda Chiara Reale sostenendo che restando in contatto con i fotografi che si seguono, si possono maturare nuove opportunità.
Se c’è un progetto vincente, il seguito c’è come è accaduto a Toty Ruggieri che, dopo aver co-curato una propria mostra senza averne realizzato un catalogo fu contattato dall’editore Yard Press per realizzare 300 copie di Diamond Dogs, Officina post industriale andato esaurito in pochi mesi.

“Il guest-book a volte è importante per individuare eventuali spunti dei visitatori, specie quelli stranieri, che ti portano a migliorare le mostre successive” dice Anna Camerlingo anche lei fotografa che curò personalmente la sua mostra Dario Fo, Francesco lu santo giullare. “E non da meno è il confronto coi colleghi per quel processo di emulazione che può solo far bene alla qualità dell’offerta generale delle mostre”.

In esposizione le fotografie del calendario 2017 “Architettura Nuda” , un progetto fotografico ideato e prodotto dall’architetto Francesco Scardaccione, realizzato in collaborazione con il fotografo Roberto Pierucci.Galleria Borbonica di Napoli evento “Arte e Moda prendono forma” 2017A cura di Valeria Viscione. Ph. Luisana Fausto

Sui diversi aspetti della curatela di una mostra fotografica tutti convengono che è il senso del progetto il punto di partenza. Inutile esporre se non si ha qualcosa da raccontare o se il progetto non intercetta nuove tendenze. Le modalità espositive, la comunicazione che, come dice Francesco Soranno di Flegrea Photo, va diretta non solo agli addetti ai lavori e alla stampa ma anche al grande pubblico, saranno conseguentemente messe in armonia con l’intero progetto espositivo. Ed è proprio sulla comunicazione dell’evento che Chiara Reale (con “gavetta” alla Tate di Londra e Master alla Bocconi in Management dell’Arte) e Valeria Viscione (nota per il suo maxi-evento Arte e moda prendono forma alla Galleria Borbonica) concentrano buona parte della loro attenzione. "Ma attenzione - consiglia Maria Savarese che è ormai nella rosa delle curatrici partenopee più attive anche a livello internazionale - è importante concentrarsi su pochi progetti, anteporre sempre criteri di qualità e non quantità, in tutti gli aspetti: dalla scelta curatoriale, al tipo di allestimento, alla comunicazione e all'ufficio stampa. Personalmente ogni volta che lavoro ad un'idea progettuale impiego circa un paio d'anni dalla gestazione dell'idea fino alla sua realizzazione e penso che se un progetto è vincente bisogna essere tenaci e non arrendersi di fronte alle difficoltà che possono emergere man mano si procede."

Maria Savarese Ph. Marco Maraviglia

Non tutti i fotografi possono permettersi un curatore ma non tutti sentono di averne la necessità perché a volte non riescono a mettere da parte quei sensi di onnipotenza che li porta a sovrastimarsi. Può capitare che il curatore arrivi a considerare in tandem col gallerista che offre lo spazio, la valutazione di quanti pezzi conviene stampare per una tiratura e quali prezzi proporre ai collezionisti. È l’eclettismo di alcuni curatori partenopei che riescono a indirizzare i fotografi in tal senso riportandoli con i piedi per terra.
A volte con gli artisti occorre molta pazienza, confida Daniela Wollmann, e chi è donna sembra averne di più in quanto “progettata” geneticamente ad essere mamma e quindi anche con innate capacità organizzative.

I curatori più esperti ci tengono a dare una particolare attenzione anche all’impostazione del catalogo che a volte è un vero e proprio libro d’arte grafica. Carta di pura cellulosa, rilegatura artigianale, grafica impeccabile, colori delle riproduzioni perfettamente identici a quelli delle immagini esposte. Stampato a volte in tiratura limitata e in fineart: può essere esso stesso l’opera di sintesi dell’intero progetto.

C’è chi dà particolare rilievo alla documentazione fotografica del vernissage che viene rilanciata sui social decretandone il successo e per promuovere l’evento anche nei giorni successivi. E qui una piccola curiosità: l’onnipresenza di Gianluigi Gargiulo che, col suo progetto La Mostra delle Mostre, immortala con i suoi collage gli artisti protagonisti delle mostre che si succedono a Napoli.

Immagini e mostra devono essere fruibili per il pubblico, sostiene Federica Cerami che ebbe la sua prima esperienza di curatela con Mimmo Jodice e dalla quale ne segue sempre gli stessi passaggi sequenziali ma con varie declinazioni adattate ogni volta al punto cardine della mostra che è il racconto fotografico. Lo spettatore non va assolutamente trascurato perché, in fondo, è lui il fruitore finale.
A proposito di orientamento del pubblico, per dargli una “bussola temporale”, il già citato Salvatore Di Vilio sostiene che a volte le didascalie delle immagini devono contenere le date per essere meglio contestualizzate.

Lungo la sua strada professionale il fotografo si rende conto a un certo punto che non può più prendere in carico sé stesso in termini curatoriali anche se ritiene di averne le competenze; decide di concentrare le proprie energie solo sulla produzione del proprio lavoro. Specie se le sue immagini richiedono tempi lunghi per essere realizzate tra ideazione e realizzazione.

Gianni Nappa Ph. Marco Maraviglia

Gianni Nappa si definisce curatore “indipendente ed istintivo”, studi conseguiti all’Accademia di Belle Arti di Napoli come allievo di Mimmo Jodice, è attratto da quei progetti che denotano una ricerca sperimentale con contaminazioni multidisciplinari che trova più stimolanti per un’esplorazione “oltre il reale” perché “l’arte serve a progredire nuovi aspetti”.

Finisce qui la piccola inchiesta a volo d’uccello sui curatori di mostre fotografiche a Napoli. Ovviamente per una questione di segreto professionale, nessuno ci darà mai in mano una check-list da seguire nei minimi dettagli come il controllo della temperatura cromatica delle luci nello spazio espositivo, la verifica di compatibilità del settaggio del pdf del catalogo con la giusta profilazione del colore, il computo dei vetri polarizzanti anti-riflesso da acquistare, l’interprete madre lingua con conoscenza della terminologia tecnica della post-produzione, se creare una piattaforma online per approdare al land-page esplicative tramite flash-code ed altre tantissime operazioni atte a mettere in posa il tutto e, cosa fondamentale, come coordinare tutte le operazioni in sinergia con le persone coinvolte: una scaletta condivisa su Google Drive o una “analogica” segretaria di produzione? Sssshhhhh…
Perché certi segreti del mestiere servono per essere fatti percepire, ma non spiegati, e il fotografo che avrà bisogno di un curatore potrà orientarsi tra decine di mostre per individuare a chi affidarsi.

Si ringraziano per la pazienza e il tempo dedicato tutte le persone intervistate.

- Marco Maraviglia –

Nota: questo testo non vuole essere assolutamente esauriente su quello che è lo scenario dei curatori di mostre fotografiche a Napoli che sono tanti altri. Mi riprometto nel tempo di raccogliere altre informazioni.


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