lunedì 1 febbraio 2016

Emoticografie. Un possibile scenario della fotografia editoriale.

Sovraproduzione di immagini, la crisi editoriale, smartphone, social network, stanno trasformando il modo di fruire le immagini influenzando le scelte editoriali?

Fotografie condivise, sostenute dai likers della rete, individui che scorrono centinaia di immagini al giorno sui social. Si soffermano su quelle più dirette, bizzarre, emozionali, senza badare alla qualità tecnica di quelle immagini. Se sgranate, mosse, male inquadrate, troppo gialle o troppo blu è meglio. Anzi, preferiscono quelle col “filtro”, instagrammate, lomizzate anche se non hanno mai visto una Lomo in vita loro.

Sono le emoticografie. Immagini emozionali che concedono la condivisione di un istante, intimo, privato. Basta lanciarle con l’hashtag giusto per farle trovare nello stesso attimo in cui esso si compie.

#photooftheday, #likeforlike, #100likeforyou… una volta bastava inserire nelle keywords della description di un sito web la parola “sex” per farsi trovare anche se trattavi sturalavandini, poi i tipi di Google capirono che si sballavano le indicizzazioni e ottimizzarono gli algoritmi di crawler, spider e dintorni e il giochetto non funzionò più.

Ma mi chiedo se possiamo intendere “emoticografie” anche quelle immagini che sì, non hanno un valore tecnico, creativo, compositivo che sarebbe alla portata di qualsiasi bravo fotoamatore, ma immagini che raggiungono una loro popolarità solo perché scattate “da”.

Quanto conta l’emozionalità della storia di Vivian Maier rispetto all’effettiva bellezza delle sue immagini?
L’attrice Sylva Koscina aveva talento come fotografa? E, se sì, quanti avrebbero visto le sue foto se non fosse stata Sylva Koscina?
Quanto conta la popolarità di Wim Wenders regista quando osserviamo le sue foto? La componente emozionale del “nome” influisce sulla popolarità delle sue immagini?
È più apprezzabile come fotografo Wim Wenders o Stanley Kubrick prima che diventasse regista?

In alcuni colloqui di lavoro ti chiedono quanti followers hai; fa curriculum il numero di condivisioni di un tuo post lanciato su Twitter e se è stato citato da Gazebo perché ciò dimostrerebbe le tue capacità comunicative, il tuo carisma e non importa la qualità del contenuto del tuo post ma l’immediatezza del messaggio e quindi la sua la viralità. Se ti hanno letto diecimila persone hai sicuramente le doti per farti seguire dai dipendenti o dai clienti di di quell’azienda che sta per assumerti. Follower, mica bruscolini.

Un selfie di Belen Rodriguez (fonte)
Un selfie di Belen su Instagram supera i cinquantamila like in poche ore. Gianni Morandi invece funziona di più su Facebook sfondando i trentamila like sulla sua pagina con una fotina della sua vita privata. Personaggi che sono garanzie per lo show business. Trattasi di grandi promesse per gli incassi pubblicitari se gli si affida una trasmissione in TV o se si mettono sulla copertina di un magazine. Perché la vita, certa vita, si misura in materiale umano e termini di profitto.

Ma immaginiamo un attimo uno scenario editoriale possibilistico che si potrebbe verificare e che per certi versi già è stato sperimentato.
I casi di Giuliano Ferrara e Concita De Gregorio sono solo la punta dell’iceberg che probabilmente non resteranno isolati.

Noti giornalisti entrambi che hanno sempre e solo scritto testi e che decidono di scattare qualche foto con lo smartphone o con una bridge, l’uno a Parigi dopo la strage al Bataclan del 13 novembre, l’altra è una recidiva.

Casi creati forse dal marketing dell’informazione giornalistica: giocare sul nome del giornalista creando una provocazione fatta di immagini in stile amatoriale scattate dalla “firma” stessa. E il gioco riesce perché il popolo della rete non aspetta altro che si accendano le luci sul ring, vedere i gladiatori (i fotografi professionisti e quelli improvvisati sia pur giornalisti noti) lottare per un’etica della fotografia che diventa sempre più espansa, fluida. Una sorta di blur-photography, fotografia inconsistente, che paradossalmente è più “cliccata” di una fotografia “a contenuto certo”.

Sono precedenti che fanno pensare.
La fotografia diventa spettacolo e gli editori, specie del cartaceo, non credo che si lasceranno scappar via questa opportunità.

I picture editor (ma esistono ancora?) dell’immediato domani saranno molto probabilmente i likers di cui parlavo all’inizio. Spulceranno la rete a caccia di immagini supercliccate, ultrafollowerizzate dove la qualità passerà in secondo piano perché sarà la loro viralità il punto di forza.

Immaginiamo… Un famoso magazine nazionale che pubblica servizi solo con immagini emozionali, selfie di personaggi pubblici… emoticofotografie, spesso rubacchiate da Instagram, da Facebook, da Twitter…
È possibile? A me sembra che stia già accadendo.


© Marco Maraviglia - tutti i diritti riservati




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