Esistono legami tra fotografia e pittura? Quali sono?
Cerchiamo di individuarne qualcuno.
Estratto dell’intervento tenuto il 20 marzo 2015 in occasione del progetto “Fotografa la vita” (per)corso di fotografia sociale organizzato da La Città della Gioia Onlus.Argomenti dell'intervento:
- “La pittura è morta!” (Paul Delaroche nel 1839 in occasione della presentazione della dagherrotipia).
- Leonardo e la camera obscura.
- Canaletto.
- Fotografia: realtà oggettiva.
- Nascita dell’Impressionismo.
- Il punto di rottura: innovazione, esplorazione di nuove strade espressive.
- Il disegno preparatorio e gli schemi geometrici.
- La colorazione manuale delle foto.
- Plagio o ispirazione?
- Luce caravaggesca e il light painting.
- Fotografia ispirata all’arte per la comunicazione.
- Fotografia come espressione artistica: quando la fotografia è arte?
- Fotomontaggi e manipolazione.
- Seurat e la deforestazione col Photoshop.
- Seurat e gli stili di vita moderni.
Introduzione
L’intervento si è basato su una serie di riflessioni e considerazioni su quelli che possono essere i legami tra fotografia e pittura cercando di fornire una serie di informazioni a volo di uccello a chi era presente in sala.
Il punto di rottura
In qualsiasi campo, in ogni scibile umano, accadono avvenimenti che definiscono quelli che io chiamo “punti di rottura” che definiscono periodi di transizione fatti di studio, ricerca, approfondimento, per migliorare ed evolvere una nuova scoperta, una nuova teoria.
Il punto di rottura è allo stesso tempo un punto di arrivo e un punto di partenza.
Conservatori e progressisti
I conservatori sono quelli che rinnegano il nuovo, hanno paura del cambiamento, quelli che non riescono a comprendere appieno le opportunità di un’intuizione o di una innovazione. Temono il “punto di rottura”.
I progressisti sono esattamente l’opposto. Sono quelli che abbracciano il senso del “siate affamati, siate folli” di Steve Jobs. Quelli che non accusano di eresia un Galileo Galilei. Quelli del “l’immaginazione al potere”.
La pittura è morta?
Nel 1839, in occasione della presentazione del procedimento fotografico di Daguerre (la dagherrotipia), il pittore Paul Delaroche dichiarò che la pittura era ormai morta in quanto riteneva che ormai non c’era più bisogno di pittori che documentassero o che riproducessero la realtà a causa dell’invenzione della fotografia.
Negli anni successivi e fino ad oggi, la pittura ha invece avuto un susseguirsi di periodi artistici che l’hanno evoluta in nuove forme espressive con contaminazioni reciproche con la fotografia.
A cominciare dall’Impressionismo.
Ma la pittura documentava e riproduceva la realtà?
I re o le famiglie borghesi che si facevano ritrarre, ovviamente dovevano piacersi in quei dipinti. In fondo la pittura era un Photoshop ad olio.
C’è della finzione nella ricostruzione di scene di guerra nei dipinti antecedenti alla fotografia; anche se un lazzaretto poteva essere rappresentato perfettamente, con i suoi ammalati di peste, la stessa luce ambiente, era il medium pennello-colore che anche attraverso la sensibilità dell’artista, falsava la realtà.
La pittura è servita per trasmettere informazioni della vita quotidiana di Pompei, per rappresentare scene mitologiche o religiose.
La pittura insomma, ci ha trasmesso “informazioni” leggibili ancora oggi anche se con una componente di soggettività.
Contaminazioni, associazioni, frullati e shakeraggi
Il caos genera stelle nascenti, Friedrich Nietzsche docet.
In qualsiasi campo si operi, la creatività è sempre vincente.
Essere creativi è la capacità di associare elementi di altre sfere, di altre discipline, connetterle tra di loro, fare un po’ di casino, fare uno shaker intelligente di tali elementi per tirar fuori il nuovo.
Non è sempre importante riuscire a creare qualcosa di buono, utile, ma è importante sperimentare, fare ricerca. Provare e riprovare fin quando si diventa padroni di ciò che si fa. E poi, il tempo definirà i risultati.
Con l’invenzione della fotografia la pittura non è assolutamente morta anzi, proprio grazie allo shock ritenuto come una forma di concorrenza, si sono generate nuove espressioni artistiche di cui non a caso l’Impressionismo è stata quella che ha fatto un po’ il verso alla fotografia.
La camera obscura di Leonardo da Vinci e il Rinascimento
Leonardo descrisse nel suo Codice Atlantico il primo sistema per riprodurre la realtà.
Nel Rinascimento nacquero i primi studi della prospettiva. Fino a quel momento la pittura ne era priva. C’era un gap visivo che fu tappato dagli artisti rinascimentali italiani: Brunelleschi, Leon Battista ne furono i pionieri.
Leonardo tra l’altro diffuse, grazie alla sua opera, la tecnica dello sfumato che si sviluppò poi nel tonalismo. I contorni dei soggetti ritratti erano finalmente ammorbiditi, non più netti ma più realistici. La tecnica dello sfumato iniziava a dare anche l’idea della profondità che oggi in fotografia rendiamo usando diaframmi sufficientemente aperti per sfocare lo sfondo, definendo profondità di campo ristrette.
Prima dell’invenzione della fotografia vi sono stati artisti come Canaletto che hanno fatto uso di quella “scatola” che negli anni fu l’anticipazione della prima camera fotografica di Daguerre usata nel 1837.
Il bisogno di documentare con immagini
Tra le esigenze dell’uomo c’è sempre stata quella di voler riprodurre la realtà per documentarla.
Una riproduzione della “realtà” che ovviamente era condizionata anche dal sentire dell’artista oltre che dalle imposizioni di natura politica o religiosa dei committenti.
Perché in fondo, la realtà non esiste.
Il soggettivismo
Qualsiasi rappresentazione pittorica, fotografica o comunque figurativa, non sarà mai fedele alla realtà.
L’immagine trasferisce informazioni ma non la realtà che a sua volta è strutturata su una quantità infinita di quelle stesse informazioni che non possiamo percepire tutte. Non possiamo nemmeno percepirle alla stessa maniera delle persone che stanno con noi in un determinato momento nello stesso luogo.
La percezione della realtà è diversa per ogni individuo il quale riesce a catturare solo una minima parte delle informazioni presenti in un contesto.
La percezione dipende dal background personale. La percezione è esperenziale.
Ogni persona sviluppa una propria capacità percettiva in base al modo di come ha allenato nel tempo i propri “sette sensi”: vista, olfatto, udito, gusto, tatto + anima e cervello (“cuore e mente” direbbe Henri Cartier Bresson).
Non siamo macchine matematiche e quindi i dati che ci arrivano attraverso i sensi, ognuno di noi li elabora in maniera diversa. È come se ci trovassimo in una commedia pirandelliana.
Realtà oggettiva?
Fotograficamente nessuna fotocamera può quindi riprendere fedelmente, oggettivamente, la realtà.
A parità di inquadratura, punto di vista, ISO, tempo e diaframma, focale ecc., dieci o cento fotocamere di diversa marca, realizzeranno nello stesso istante dieci o cento immagini differenti. Perché esiste il sensore CCD che cattura le sfumature di colore che nemmeno l’occhio umano percepisce, c’è l’obiettivo poco definito e quindi non rende i dettagli, l’obiettivo che vignetta…
Ma, innanzitutto, un’immagine fotografica può fornire informazioni limitate solo all’inquadratura specifica e non del mondo circostante fatto di 360°x360° e di tutti i suoni, odori ecc. circostanti: la realtà che noi viviamo sul posto, praticamente.
Vale per l’immagine giornalistica come per la foto pubblicitaria. Entrambe subiscono un processo di postproduzione che veniva fatto anche con l’analogico, in camera oscura: bruciature e schermature, aumento o meno del contrasto… È l’autore della foto (o il committente) che deciderà fin dove spingersi nella manipolazione per rendere all’osservatore il significato di ciò che ha ripreso cercando di far passare le informazioni da lui percepite attraverso il proprio intervento.
Ecco che non ci resta altro da considerare che fotografia e pittura hanno questa stessa affinità: la soggettività dell’immagine prodotta.
La fotografia fa concorrenza alla pittura? L’Impressionismo risponde
Gli artisti escono fuori dai loro atelier. Ne hanno piene le tasche di disegni preparatori, di attenzione al dettaglio nel dipinto, di perfezionismo prospettico, di colori da preparare artigianalmente e quant’altro.
Il Romanticismo apre la strada alle emozioni, ad una pittura in cui è prevalente la soggettività dell’artista.
Gli artisti non ci stanno ad essere offuscati dall’invenzione fotografica. Reagiscono. Approfittano del “punto di rottura” per dimostrare che la pittura può andare oltre le regole seguite fino alla metà dell’800.
E lo fanno quasi sfidando la fotografia, considerato il massimo medium per la riproduzione della realtà, dimostrando invece che le vibrazioni della luce, il movimento dell’acqua e delle fronde percepiti non potevano essere resi da una foto in maniera emozionale e soggettiva come per un loro dipinto impressionista che restituisce un’informazione della realtà per certi versi attiva, viva.
I capricci d’artista e dintorni
Accade allora che, consapevoli della soggettività della realtà, ci si spinga verso la sua stessa manipolabilità realizzando immagini verosimili, impossibili, surreali o comunque trattate secondo i gusti e la creatività dell’artista.
Canaletto realizzò i suoi capricci d’artista come oggi io stesso creo dei luoghi impossibili di Napoli con dei fotomontaggi realizzati col Photoshop.
Le affinità e i legami tra pittura e fotografia non sono poche
I fotografi vendevano le loro immagini di paesaggi agli artisti che a loro volta le trasformavano in dipinti. Accade ancora oggi che un artista prenda spunto da una foto per dipingere (a volte cadendo nel plagio).
Quando le foto erano in bianconero i fotografi erano anche un po’ pittori perché vi intervenivano colorandole manualmente (v. Felice Beato, pioniere della tecnica).
I fotografi possono ispirarsi all’arte per affinare il loro stile e dare un’impronta “pittorica” alle loro foto usando ad esempio la tecnica del painting light utilizzata per dotare di luce simil-caravaggesca o alla Tintoretto, le immagini (v. Riccardo Marcialis).
Gli artisti seguivano regole accademiche nel dipingere e quindi schemi geometrici che riprendevano i canoni dell’estetica classica: servivano a dare armonia e ritmo alle loro composizioni.
Un fotografo sa che dare un contenuto armonico all’inquadratura che decide, renderà la foto più leggibile, raggiungibile a più persone. Perché la bellezza è anche perfezione e quindi matematica, geometria. E non parlo solo della regola dei 2/3 da circolo fotografico.
Poi c’è tutto un filone di non-fotografia per lo più fuori dai circuiti di mostre e gallerie perché non definibile come “arte” da chi gestisce il mercato-arte. Sono immagini fotografiche postprodotte in maniera estrema che spaziano dal surrealismo al metafisico fino a raggiungere l’astrattismo.
Conclusioni
Esistono legami tra fotografia e pittura? Sì. Anzi, la conoscenza della pittura e dell’arte tutta, dell’estetica da Aristotele in poi, è una preziosa fonte per un fotografo che non vuole limitarsi a registrare solo informazioni in una immagine, ma anche crearle.
© Marco Maraviglia; TUTTI I DIRITTI RISERVATI.
L'intervento è corredato di trenta slide. Chi è interessato ad organizzare un meeting sull'argomento può contattare l'autore.