Esplorazione nel mondo di alcuni curatori di mostre
fotografiche a Napoli.
Di Marco Maraviglia
Curatore. Strana parola. Come se un artista fosse un malato
da curare.
Il curatore di una mostra non misura la pressione e non
somministra pasticche di integratori, ma si prende cura di alcuni o tutti gli
aspetti di un’esposizione al pubblico del lavoro dell’artista o fotografo o
autore o come preferite.
Dietro le migliori mostre aleggia la figura del curatore. A
volte è un critico, alcuni sono giornalisti, altri esperti di comunicazione,
c’è chi è docente di fotografia o di storia dell’arte. Altri hanno esperienze e
know-how a 360.
A volte sono i fotografi stessi che hanno rispettabili capacità
curatoriali…
Chiacchierando con alcuni tra i curatori più attivi della
scena partenopea, sono sorte caratteristiche che vanno oltre quelle che possono
essere intese tradizionalmente. Ci sono vari modi di concepire l’aspetto
curatoriale.
Ad esempio Luca Sorbo, critico e docente di storia della
fotografia dell’Accademia di BBAA di Napoli (co-curatore della mostra su
Rodolfo Namias a Venezia e di numerosi progetti fotografici), tende a proporre
un progetto a un gruppo di lavoro sul quale definisce le linee guida ma senza
però andare ad intaccare l’aspetto tecnico-creativo della produzione.
Dettaglio sistemazione targhette didascaliche di una mostra a cura di Photo Polis Ph. Filippo Tufano |
Il curatore a volte proviene da studi umanistici, è conoscitore
di storia della fotografia, dei suoi procedimenti tecnici e quindi della
post-produzione e dei vari supporti di stampa, ha buone capacità manageriali e
grandi capacità nel relazionarsi con l’artista in cui crede e con le
istituzioni, con le aziende coinvolte, con i giornalisti, col pubblico e fino
all’ultimo manovale dello staff di allestitori; è attento ai trend locali ed
internazionali, intuitivo, un po’ psicologo, non segue solo la curatela del
progetto ma entra in simbiosi con quello che diventa il suo alter ego
(l’artista) riuscendo talvolta a vedere oltre ciò che egli non riesce a
cogliere.
Personal trainer, coach, talent scout, pigmalione, road
manager… insomma, si prende cura di una creatura da far crescere che non è
l’artista, ma il suo progetto, anzi, per Diana Gianquitto è anche una bella soddisfazione quando
un artista si sorprende leggendo un testo critico scritto per lui nel quale
individua aspetti che stesso l’artista non aveva coscientizzato e “se hai
padronanza delle lingue per poter dialogare a tu per tu e in estrema libertà
operativa con gli artisti”, eviti filtri di eventuali interpreti che ostacolerebbero
l’empatia.
Tutto ciò, più o meno, “contiene” il curatore.
Ma anche altro.
Per Adriana Rispoli la fotografia È arte contemporanea
o almeno per tale va trattata. Lavora su progetti di mostre site-specific che possono talvolta
trasmettere un potente messaggio sociale ed economico, oltre che artistico. Con
Old Factory, New Capital (Raffaela Mariniello e Igor Grubic) e Capri B&B – Behind & Beyond (Raffaela Mariniello e Eugenio
Tibaldi) si assiste a contaminazioni di fotografia, grafica e pittura in
spazi non normalmente deputati all’arte. Nel 2006 al Museo di Capodimonte e con
Eugenio Viola
cura Very Important Portraits di David Lachapelle in cui si portano
in parallelo immagini rinascimentali della ritrattistica di Tiziano con la produzione del
fotografo.
David La Chapelle Installation view VIP very important portraits a cura di Adriana Rispoli ed Eugenio Viola |
Anche Chiara Pirozzi tende a sviluppare progetti
site-specific e concentra la sua attenzione su nuove produzioni. “Ogni singola
opera porta con sé le sue esigenze. Non va trascurato l’apparato descrittivo ed
esplicativo del progetto in mostra al fine di renderlo fruibile a pubblici
diversi… Mi interessa che la ricerca sia realmente un’esigenza dell’autore e
non un semplice pretesto... Realizzare una mostra è anche un'azione di
investimento che un gallerista o qualcun altro sceglie di fare per
svariate ragioni ed è un meccanismo che fa assumere valore all’opera. Per
questo sconsiglio le mostre a pagamento: viene a cadere il principio
dell'investimento su un valore artistico altrimenti realmente riconosciuto.”
Il fotografo Mario Laporta non si definisce curatore “…le
curatele non sono il mio reddito… fregiarmi del ruolo di curatore sarebbe
usurpare un titolo che molti meritano e di cui ho grande stima”, ma ha organizzato
eventi fotografici che sono andati al di là della semplice esposizione come Ri-Tratti, la fotografia interpreta
Antonello da Messina (2015) e Napoli/Innovazione
Tecnologica – La fotografia si confronta con i temi di Salvatore Fergola (2017)
dove le immagini da esporre venivano preventivamente ricreate ex-novo in una
sorta di performance realizzata con i contributi di fotografi del panorama (inter)nazionale.
Roberta Fuorvia Ph. Marco Maraviglia |
Anche Roberta Fuorvia ha una visione abbastanza dinamica
dell’esposizione, bada che l’allestimento sia creativo e stimolante; per lei
che ha curato, tra gli altri, Ludovica
Bastianini in occasione del Festival
Circulations (Parigi) e Valeria
Laureano grazie all’Istituto Italiano
di Cultura di San Paolo (Brasile), lo spazio espositivo deve essere
utilizzato a 360° magari avvalendosi di installazioni audio e video che
amplifichino la percezione e generando una sorta di sforzo fisico dello
spettatore affinché cerchi di approfondire l’osservazione di quanto esposto. È
una cacciatrice di talenti che intercetta tra i suoi allievi o anche con
determinati hashtag su Instagram.
Restando in tema di mostre fotografiche “interattive”, non
si può non citare Impossible Naples
Project (di cui sono l’autore), le cui esposizioni sono sempre basate su
performance partecipative del pubblico e intese come veri e propri happening curati
dall’Associazione
Photo Polis .
Gli addetti ai lavori convengono quasi tutti sul fatto che Napoli
ha una grande quantità e qualità di realtà creative che rischiano però di
implodere se non ci si attrezza in tempo, dato il boom turistico e culturale che
si sta avendo grazie anche al traino conseguente a una virale offerta innovativa
dei direttori dei musei.
Per sostenere una possibile internazionalizzazione “…
occorrerebbero uffici stampa istituzionali più aperti verso l’estero… i
materiali informativi dovrebbero uscire fuori dai confini nazionali… si
dovrebbe essere più presenti in fiere internazionali… creare convenzioni per
far risiedere gli artisti in occasione degli eventi…” suggerisce Simona Perchiazzi
che portò H. Cartier Bresson a Napoli
nel 2016.
“Riuscire a proporre una buona offerta culturale dipende non
poco da come vengono fatti confluire i fondi pubblici e questo dipende molto dal
livello di conoscenza del patrimonio artistico di una città da parte delle
istituzioni stesse”, racconta Alessandra Troncone ricercatrice per il MADRE e che
cura mostre dove la fotografia è uno dei possibili linguaggi scelti dagli
artisti con cui lavorare e aggiunge, “le residenze d’artista sono grandi
opportunità sulle quali investire in quanto gli artisti hanno la capacità di
rivelare nuove prospettive del territorio valorizzandolo”.
Valentina Rippa aggiunge che ci sono spazi
espositivi meravigliosi, si riesce ad interagire facilmente con il MiBACT ed
altre istituzioni nazionali (se si ha un buon progetto), ma conferma che non
avverte ancora una certa sprovincializzazione dello scenario culturale
partenopeo per mancanza di coordinamento e condivisione della programmazione.
Problema sul quale convengono non pochi ricordando il paradosso tra l’offerta e
la mancanza di sostegno istituzionale se non si è addentro certi meccanismi e
che lo si trova poi inaspettatamente nella provincia. Ma, a detta di Chiara Reale,
a volte può solo trattarsi di una diffidenza iniziale da parte degli
interlocutori che poi nel tempo, grazie anche alle proprie capacità
relazionali, possono poi rivelarsi disponibili nel porre soluzioni a qualche
inghippo.
Chiara Reale Ph. Marco Maraviglia |
Giuliano Sergio che inaugurò La Casa della Fotografia in Villa Pignatelli (fortemente voluta da Graziella Lonardi) con una mostra su Ugo Mulas, pone l’accento sulla capacità
di relazionarsi con galleristi, collezionisti, direttori dei musei e con gli
eredi dei fotografi non più viventi, per ottenere i prestiti delle opere.
Capita che il collezionista è disponibilissimo al prestito, consapevole che
un’esposizione prestigiosa e la sua pubblicazione in catalogo, non fa che
aumentare di valore l’opera, mentre può capitare che i familiari siano più
fiscali e timorosi.
Si avverte una forte esigenza per un momento di discussione
sugli stati generali della fotografia a Napoli affinché si possano mettere a
sistema le varie realtà della città ma purtroppo, al momento, nessuno se ne
prende carico e forse per una mancanza culturale del senso di aggregazione.
Il fotografo Pino Miraglia, nel 2013 organizzò, come operazione
aggregante, l’anteprima di quel che sarebbe stato il Festival Internazionale dell’Immagine Contemporanea e della Fotografia
d’Autore (in simultanea in spazi istituzionali come il MAV, il Museo di
Capodimonte, Villa Pignatelli, il PAN) che
voleva essere “un percorso di crescita e di analisi sulle potenzialità
artistiche e narrative della fotografia e dell’immagine contemporanea…”.
La città tuttora non sembra ancora pronta ad abbracciare questo
genere di sforzi a respiro internazionale e capita infatti che anche Salvatore
Sparavigna, altro fotografo che cavalca “l’exhibition self-made”, trovi maggiore facilità ad
interloquire ed esporre all’estero come per la sua mostra Le pose del caffè a… New York.
In altre regioni, mi racconta il fotografo Salvatore Di Vilio,
c’è un senso di aggregazione e una cultura di merito che uniscono tutte le
forze presenti nella provincia; “… qui se sei campano ma non sei nato a Napoli
esponi in Cina, in Polonia, ti dedicano retrospettive in un castello a Reggio
Emilia… ma sei tagliato fuori dal circuito partenopeo”.
Il “fai da te” non è sconsigliato del tutto e ci sono infatti
casi di mostre messe in piedi da fotografi scafati ed eclettici come Toty Ruggieri
e il già citato Salvatore
Sparavigna che per le sue ultime mostre ha aggiunto un tocco
scenografico all’allestimento come ad esempio per Se la mia strada fosse stata un’altra? (operazione di
sensibilizzazione sociale sul mondo dei clochard) in cui abbigliamento
malandato, buste di plastica, cartoni e valigie disposte nella sala, provocavano
inquietitudine e spunto di riflessione.
Marina Guida sostiene che occorre individuare il
mondo intorno più adatto al fotografo introducendolo “nei luoghi giusti al
momento giusto con le professionalità giuste… Curare la sua evoluzione
professionale che va oltre il periodo della mostra”. Perché un buon lavoro
consiste nel dare anche un seguito dopo lo spazio temporale dell’esposizione. Concorda
Chiara Reale
sostenendo che restando in contatto con i fotografi che si seguono, si possono
maturare nuove opportunità.
Se c’è un progetto vincente, il seguito c’è come è accaduto
a Toty Ruggieri
che, dopo aver co-curato una propria mostra senza averne realizzato un catalogo
fu contattato dall’editore Yard Press
per realizzare 300 copie di Diamond Dogs,
Officina post industriale andato esaurito in pochi mesi.
“Il guest-book a volte è importante per individuare eventuali
spunti dei visitatori, specie quelli stranieri, che ti portano a migliorare le
mostre successive” dice Anna Camerlingo anche lei fotografa che curò
personalmente la sua mostra Dario Fo,
Francesco lu santo giullare. “E non da meno è il confronto coi colleghi per
quel processo di emulazione che può solo far bene alla qualità dell’offerta
generale delle mostre”.
Sui diversi aspetti della curatela di una mostra fotografica
tutti convengono che è il senso del progetto il punto di partenza. Inutile
esporre se non si ha qualcosa da raccontare o se il progetto non intercetta
nuove tendenze. Le modalità espositive, la comunicazione che, come dice Francesco Soranno
di Flegrea Photo, va diretta non solo
agli addetti ai lavori e alla stampa ma anche al grande pubblico, saranno conseguentemente
messe in armonia con l’intero progetto espositivo. Ed è proprio sulla
comunicazione dell’evento che Chiara Reale (con “gavetta” alla Tate di Londra e Master
alla Bocconi in Management dell’Arte) e Valeria Viscione (nota per il suo maxi-evento Arte e moda prendono forma alla Galleria
Borbonica) concentrano buona parte della loro attenzione. "Ma attenzione - consiglia Maria Savarese
che è ormai nella rosa delle curatrici partenopee più attive anche a livello
internazionale - è importante concentrarsi su pochi progetti, anteporre
sempre criteri di qualità e non quantità, in tutti gli aspetti: dalla scelta
curatoriale, al tipo di allestimento, alla comunicazione e all'ufficio stampa.
Personalmente ogni volta che lavoro ad un'idea progettuale impiego circa un
paio d'anni dalla gestazione dell'idea fino alla sua realizzazione e penso che
se un progetto è vincente bisogna essere tenaci e non arrendersi di fronte alle
difficoltà che possono emergere man mano si procede."
Maria Savarese Ph. Marco Maraviglia |
Non tutti i fotografi possono permettersi un curatore ma non
tutti sentono di averne la necessità perché a volte non riescono a mettere da
parte quei sensi di onnipotenza che li porta a sovrastimarsi. Può capitare che
il curatore arrivi a considerare in tandem col gallerista che offre lo spazio,
la valutazione di quanti pezzi conviene stampare per una tiratura e quali
prezzi proporre ai collezionisti. È l’eclettismo di alcuni curatori partenopei che
riescono a indirizzare i fotografi in tal senso riportandoli con i piedi per
terra.
A volte con gli artisti occorre molta pazienza, confida Daniela Wollmann,
e chi è donna sembra averne di più in quanto “progettata” geneticamente ad
essere mamma e quindi anche con innate capacità organizzative.
I curatori più esperti ci tengono a dare una particolare
attenzione anche all’impostazione del catalogo che a volte è un vero e proprio
libro d’arte grafica. Carta di pura cellulosa, rilegatura artigianale, grafica
impeccabile, colori delle riproduzioni perfettamente identici a quelli delle
immagini esposte. Stampato a volte in tiratura limitata e in fineart: può
essere esso stesso l’opera di sintesi dell’intero progetto.
C’è chi dà particolare rilievo alla documentazione
fotografica del vernissage che viene rilanciata sui social decretandone il
successo e per promuovere l’evento anche nei giorni successivi. E qui una
piccola curiosità: l’onnipresenza di Gianluigi Gargiulo che, col suo progetto La Mostra delle Mostre, immortala con i
suoi collage gli artisti protagonisti delle mostre che si succedono a Napoli.
Immagini e mostra devono essere fruibili per il pubblico, sostiene
Federica Cerami
che ebbe la sua prima esperienza di curatela con Mimmo Jodice e dalla quale ne segue sempre gli stessi passaggi
sequenziali ma con varie declinazioni adattate ogni volta al punto cardine
della mostra che è il racconto fotografico. Lo spettatore non va assolutamente
trascurato perché, in fondo, è lui il fruitore finale.
A proposito di orientamento del pubblico, per dargli una “bussola
temporale”, il già citato Salvatore Di Vilio sostiene che a volte le didascalie
delle immagini devono contenere le date per essere meglio contestualizzate.
Lungo la sua strada professionale il fotografo si rende
conto a un certo punto che non può più prendere in carico sé stesso in termini
curatoriali anche se ritiene di averne le competenze; decide di concentrare le
proprie energie solo sulla produzione del proprio lavoro. Specie se le sue
immagini richiedono tempi lunghi per essere realizzate tra ideazione e
realizzazione.
Gianni Nappa Ph. Marco Maraviglia |
Gianni Nappa si definisce curatore “indipendente
ed istintivo”, studi conseguiti all’Accademia di Belle Arti di Napoli come
allievo di Mimmo Jodice, è attratto da quei progetti che denotano una ricerca
sperimentale con contaminazioni multidisciplinari che trova più stimolanti per
un’esplorazione “oltre il reale” perché “l’arte serve a progredire nuovi
aspetti”.
Finisce qui la piccola inchiesta a volo d’uccello sui
curatori di mostre fotografiche a Napoli. Ovviamente per una questione di
segreto professionale, nessuno ci darà mai in mano una check-list da seguire nei
minimi dettagli come il controllo della temperatura cromatica delle luci nello
spazio espositivo, la verifica di compatibilità del settaggio del pdf del
catalogo con la giusta profilazione del colore, il computo dei vetri
polarizzanti anti-riflesso da acquistare, l’interprete madre lingua con
conoscenza della terminologia tecnica della post-produzione, se creare una
piattaforma online per approdare al land-page esplicative tramite flash-code ed
altre tantissime operazioni atte a mettere in posa il tutto e, cosa
fondamentale, come coordinare tutte le operazioni in sinergia con le persone
coinvolte: una scaletta condivisa su Google Drive o una “analogica” segretaria
di produzione? Sssshhhhh…
Perché certi segreti del mestiere servono per essere fatti percepire,
ma non spiegati, e il fotografo che avrà bisogno di un curatore potrà
orientarsi tra decine di mostre per individuare a chi affidarsi.
Si ringraziano per la
pazienza e il tempo dedicato tutte le persone intervistate.
- Marco Maraviglia –
Nota: questo testo
non vuole essere assolutamente esauriente su quello che è lo scenario dei
curatori di mostre fotografiche a Napoli che sono tanti altri. Mi riprometto nel tempo di raccogliere altre informazioni.