Appunti sparsi dell'inaugurazione della mostra retrospettiva di Robert Mapplethorpe al MADRE
L'attesa...
Il 14 dicembre l’inaugurazione della retrospettiva su Robert
Mapplethorpe era alle 19.00 ma la porta del MADRE era già aperta per gli
addetti ai lavori e le cariche pubbliche istituzionali.
I semplici cittadini, appassionati di fotografia e di uno
dei più memorabili autori della storia della fotografia, non sono pubblici, ma
privati. Quelli che “dopo”. Dalle 19.00.
© Robert Mapplethorpe Foundation |
L’evento è di quelli che si ricorderanno. Io faccio capannello
fuori al portone con alcuni dei cittadini “di serie B” come me, i soliti che incontro
alle più svariate mostre: artisti, fotografi, curatori, critici, storici
dell’arte e della fotografia.
Ma sì, meglio non mischiarsi con quelli che stanno in lista.
Quelli che forse “pérformance” e non perfòrmance. Quelli che forse non sanno di
stare andando ad assistere a "culi, cazzi, tette".
È una situazione paradossalmente ridicola: i veri
interessati costretti ad essere smaltiti nell’arco di due ore in una fila
transennata e, chi non avrà mai sfogliato in vita sua nemmeno una rivista di Zoom o Progresso Fotografico, è già dentro.
Ma va bene così. L'ordine pubblico deve pur essere gestito in qualche modo.
Si entra!
Si entra ed io lascio il mio gruppetto che si era formato per
godermi la mostra da solo (amici scusatemi).
Devo assolutamente trovare una foto che vidi negli anni ’80
alla Galleria di Lucio Amelio quando
stava in p.zza Dei Martiri.
Credo che fu la prima mostra che vidi in assoluto in una
galleria. Ci andai da solo. Ero un ventenne che iniziava a studiare da
autodidatta la fotografia e volevo vedere da vicino le foto di Robert Mapplethorpe ché mi avevano
colpito più di tante altre tra quelle viste sulle riviste mensili che acquistavo.
Quella mattina proprio stavano smantellando ma mi fecero
entrare ugualmente. C’era rimasto ben poco alle pareti e ci fu una foto che mi
colpì particolarmente per la storia che ne raccontava l’immagine su una targa didascalica.
Il 14 dicembre al MADRE dovevo assolutamente ritrovare
quella foto…
La performance
Indosso sul naso le mie lenti da due gradi e mi
avvicino ad ognuna delle foto come volerci entrare dentro.
Leggo sulle didascalie, lontane dalle cornici spostandomi fastidiosamente ogni
volta, gli anni di produzione. Tutte stampe in gelatina d’argento. Analogiche. Formati
vari dal 35x35 ca. a salire. Scattate con Hasselblad. Prendo appunti sul mio taccuino. Si avvicina una ragazza che mi chiede se mi piacciono. - Non sarei qui - le dico col mio fare schietto ed apparentemente scorbutico. - Ma chi sei? - le chiedo, - una ballerina, dopo facciamo una performance nella “sala rossa” - risponde accennando un movimento sinuoso. Io non so se ci sia bisogno di spettacolarizzare un evento del genere che è già uno spettacolo di per sé, ma va bene uguale se è questo di cui ha bisogno il pubblico.
Qualche minuto dopo mi capita di vedere qualcosa di
quella performance, ma mi sembra che sconsacri tutto quel ben di Dio esposto.
De gustibus.
Prendo appunti… questi
Scorro le foto di Robert
Mapplethorpe una ad una. Corpi nudi di uomini e donne. Ritrovo le foto di Lisa Lyon che le preferisco a quelle
scattate da Helmut Newton.
Negli
anni ’80 non si levigava la pelle col Photoshop. Per la fotografia di moda si
usavano tonnellate di fondotinta, si diceva alle modelle di non indossare
reggiseni e mutande per non far lasciare segni sulla pelle.
Ma qui le texture porose della pelle ci sono e a volte volutamente esaltate dall'olio spalmato sui corpi. E brufoletti anche.
Qualche ritratto è ammorbidito dal sapiente uso della luce dei bank e
probabilmente da tempi di scatto lenti.
Nessun bianco “sparato”. La lucentezza argentea di alcune
immagini è un orgasmo per i miei occhi. La mente sorride.
Nelle sale vi sono opere di Paolo De Matteis, Vincenzo
Gemito… che si associano ai corpi scultorei ripresi da Mapplethorpe che in realtà contengono non poche citazioni neoclassiche,
leonardesche, caravaggesche.
Composizioni auree
Saltano all’occhio le ricerche compositive auree. Diagonali palindrome
o simmetriche. Vuoti e pieni di massimo equilibrio. Bianchi e neri ben pesati. Curve contrapposte...
Del resto Robert
Mapplethorpe aveva un background come pittore e non a caso le sue immagini
richiamano gli studi anatomici dell’era classica e rinascimentale.
Staticità e dinamicità dei corpi. Non possono non venire in
mente Leonardo, Michelangelo, Caravaggio
e le proporzioni della scultura ellenica.
I corpi emanano dinamismo e tensione anche se fermi. Luci ed
ombre modulano l’intensità dei soggetti rendendoli plastici, vivi. Non è (solo)
la profondità di campo a generare tridimensionalità alle immagini.
L’erotismo di Robert
Mapplethorpe
Qualcuno potrebbe pensare a Robert come un pornomane, erotomane,
perverso, esagerato, trasgressivo.
Per quanto mi riguarda, aveva colto in pieno il senso della
vita.
Depurato di ogni sovrastruttura dell’ipocrisia del genere
umano, Robert Mapplethorpe ha
cercato La Grande Bellezza consacrando la sessualità e l’erotismo a principale
macchina generatrice dell’essenza della vita.
Dietro ai culi, tette e cazzi ripresi dal fotografo, c’è una
ricerca estetica che sfiora, centra, percorre e supera, il benessere e
l’estetica della civiltà pompeiana. La libertà sessuale è generatrice
dell’Universo. Tutto è mosso dall’amore, dalla diversità sessuale. Da un
erotismo sofisticato o leggero che sia. Essere bianchi, neri o albini, lesbiche
o gay, bisessuali o etero, non conta, purché l’umanità non si dimentichi che è l’alchimia
sessuale che genera meccanismi della vita indispensabili alla sopravvivenza a cominciare dalla riproduzione.
Ci fa rendere conto della sessualità dei fiori, che
l’individuo è, in fondo, il centro dell’universo con leonardiane vitruviane
citazioni.
Anche attraverso i ritratti da lui eseguiti a se stesso e ai
personaggi che hanno calcato la scena artistica statunitense degli anni
’70-’80, si evince l’amore narcisistico e per chi aveva di fronte all’obiettivo.
L’ho trovata!
E finalmente la trovo!
Quella foto che mi colpì particolarmente quando ero un
ventenne era lì. Sì, quella che vidi alla Galleria Amelio.
Un’immagine che sembra non ci azzecchi un bel nulla in
quella carrellata di corpi nudi, ritratti e oggetti sadomaso. E noto che non ne
è raccontata la storia che sto qui per dirvi io, eppure credo che sia la vera
grande immagine che rappresenta l'intimità di Mapplethorpe.
C’era una targa accanto a quella foto nella quale è ritratta
una portaerei. Robert Mapplethorpe
riprese dalla sua stanza d’albergo sul lungomare di Napoli quella nave nel
periodo in cui fu invitato da Lucio
Amelio per “l’operazione” Terrae
Motus.
Quella lunga didascalia raccontava, secondo la mia memoria,
più o meno questo:
“Ero ospitato a Napoli in occasione di Terrae Motus organizzata dal
gallerista Lucio Amelio. Alloggiavo
in una camera di un hotel del lungomare dove il balcone affacciava sul mare del
Golfo. Una mattina mi svegliai e vidi al largo quella portaerei. Ebbi l’impulso
di tuffarmi per raggiungerla e farmi tutti i marinai che vi erano a bordo. Non
potei fare a meno di scattare questa foto”.
Una dichiarazione che, leggendola, non mi turbò affatto ma
che mi fece capire la schiettezza e sincerità della personalità del fotografo. Per
me fu quasi un invito a essere sinceri con se stessi e con le persone intorno, con
lealtà, senza calcolarne le conseguenze. Senza temere giudizi, critiche,
antipatie, inimicizie. Dire ciò che si pensa rende liberi e Robert Mapplethorpe lo era.
Era per me la sintesi di un artista e del suo pensiero
spudorato, estremo, trasparente. Qualcuno mi disse che un artista non è artista
se non si sputtana.
A quel punto, per me, tutte le altre fotografie sembravano
risucchiate da quello scatto preso da via Partenope.
VIP
Alla fine, i protagonisti sono loro, sono Leo Castelli, Andy Warhol, Patty Smith, Laurie Anderson,
Lucio Amelio, Madonna, Lisa Lyon e
tanti altri. Quelli ritratti da Robert Mapplethorpe ed esposti al MADRE. Quelli che alimentavano la vita culturale newyorchese mettendo
alla berlina il sistema americano a botte di POP Art e dintorni.
Non certo quelli costretti a fare passerelle
istituzionali di rito in occasione di inaugurazioni per il “io c’ero” a botte
di selfie, strette di mano ecc. ecc.
Robert Mapplethorpe
ne avrebbe probabilmente fatto a meno di queste convenzioni. Lui era uno
schietto. Un puro. Una farfalla che, saltando da un fiore all’altro, si è
ritrovato avvelenato dalla peste del XX secolo.
Perché la purezza d’animo, la schiettezza, hanno purtroppo
un prezzo che a volte è fatto pagare dal destino.
© Marco Maraviglia
ROBERT MAPPLETHORPE. COREOGRAFIA PER UNA MOSTRA
DAL 15.12.2018 AL 08.04.2019
Museo MADRE
via Luigi Settembrini, 79 - 80139 Napoli
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